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Qual è il vero rischio per l'uomo?


25 GIU - Quello dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam non è però l’unico lavoro a firma di Ron Fouchier che parla del virus modificato presente su questo numero di Science. Un’altra ricerca – oltre a ben otto articoli di accompagnamento, tutti consultabili per intero sul sito della rivista – condotta dallo scienziato con un team di colleghi dell’Università di Cambridge, ha infatti provato ad andare oltre. In particolare, gli scienziati inglesi hanno cercato di capire tra le numerose mutazioni individuate dalle due ricerche controverse quali sono quelle già presenti in natura. Scoprendo che si tratta di più di qualche alterazione. Due delle cinque alterazioni del quintetto base sono già comuni nei ceppi di H5N1 diffusi nel mondo, mentre un altra è stato trovata solo una volta in natura. Le due rimanenti, invece, non sono mai state trovate in alcun caso di H5N1, ma sono presenti nei ceppi H2 e H3 che furono causa rispettivamente dell’epidemia asiatica del 1957 e di quella di Hong Kong del 1968. In più, spiegano gli autori, alcuni altri virus sono a poche modifiche parziali di distanza dalla comparsa di queste specifiche alterazioni.

I ricercatori, però, precisano anche che queste alterazioni permettono al virus di trasmettersi per via aerea tra i furetti, ma non ci sono ancora prove che permettano la stessa cosa anche tra gli esseri umani. In più, spiega Fouchier, bisogna ancora capire qual è l’indice di trasmissione di questo ceppo modificato, ovvero “quanti sono gli individui che possono essere infettati a partire da uno malato. Per poter causare una pandemia, infatti, bisogna che questo numero superi 1, cosa che per il ceppo in considerazione non è ancora sicura”, ha commentato. “Ecco perché abbiamo bisogno di nuovi modelli quantitativi di studio”.
Ma non è solo questo il campo di ricerca individuato dall’esperto. “Un virus può evolvere in migliaia di modi diversi”, ha concluso. “Ma se riusciamo dimostrare che c’è una modifica in particolare che può cambiare elementi chiave della modalità di contagio, tutto cambia. In quel caso potremmo stabilire dei piani di sorveglianza delle mutazioni che permettono di affrontare il problema per tempo”.
 
Laura Berardi

25 giugno 2012
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