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Intervista. Nanni Costa (Cnt): “Con la South Transplant Alliance, più speranze per i pazienti"


01 OTT - Alessandro Nanni Costa è il direttore del Centro Nazionale Trapianti (Cnt) e oggi, a Roma, ha firmato con Francia e Spagna un accordo che sancisce la nascita della South Transplant Alliance, una nuova rete mediterranea nel settore dei trapianti.
 
Direttore, l’Italia ha ottenuto la prima presidenza della South Transplant Alliance creata dal nostro Paese insieme a Francia e Spagna. Perché l’Italia?
Non siamo stati noi a candidarci, ma sono stati la Francia e la Spagna a proporci. Forse anche perché si tratta di un progetto che era stato avviato attraverso una nostra iniziativa a livello europeo.

L’affidamento all’Italia della prima presidenza della South Transplant Alliance rappresenta un riconoscimento per il nostro Paese?
Sicuramente, e il Cnt è davvero onorato di questa decisione. Avere assegnata la presidenza all’Italia è un riconoscimento del lavoro svolto sino ad oggi che ha portato il sistema trapianti ad essere un’eccellenza della sanità italiana e un punto di riferimento internazionale. La decisione di istituire una presidenza a turnazione è tuttavia la prova dell’equilibrio tra Italia, Francia e Spagna, che sono i tre Paesi europei con i sistemi di donazione-trapianto più forti e organizzati, ma anche quelli con il più alto numero di processi di donazione-trapianto. Quello firmato oggi è un accordo tra pari.

E quale è la sua finalità?
Mettere insieme dei programmi e condividerli, approfondire le tematiche e le opportunità del sistema. E vogliamo farlo rafforzando la nostra collaborazione e presentandoci in Europa come un’organizzazione con una visione e politica dei trapianti unitaria.

Quindi creare procedure standardizzate, Linee guida comuni…?
Diciamo che metteremo insieme alcuni dei nostri programmi. Vogliamo essere concreti. Ad esempio nella giornata di oggi affronteremo in particolare la questione dei trapianti di rene con modalità cross over, che si realizza quando il donatore e il ricevente non sono né consanguinei né legati da vincoli affettivi. È un programma che si mette in atto quando la coppia di consanguinei o di familiari in senso lato non sono biologicamente compatibili. In tal caso, e in presenza di almeno un’altra coppia in situazione analoga, i donatori e i riceventi, se biologicamente compatibili, si incrociano. È dunque evidente che mi coppie ci sono, più è facile trovare la non-incompatibilità. Abbiamo quindi bisogno di allargare il numero e l’idea è di fare un pool italo-francese-spagnolo.

Significa scambiarsi i donatori tra un Paese e l’altro?
Esattamente. Condividere il registro dei cross-over può aumentare significativamente la probabilità dei pazienti in attesa di trapianto di ricevere un rene.

In quale altre aree e progetti si svilupperà l’accordo?
Il primo programma operativo è, appunto, quello sul trapianto di rene cross over, con un’iniziativa comune nell’ambito della formazione. Stiamo poi progettando iniziative comune di Audit sulle attività dei centri per condividere sistemi di controllo della rete e punteremo poi a programmi di scambio di organi da donatori viventi. Come programma per il primo anno è molto intenso. L’Alliance, peraltro, si affiancherà a molti altri importanti progetti di cui il nostro Paese fa parte in Europa.

In ambito formativo significa anche con lo scambio di operatori tra Paesi per alcuni periodi?
Presto sarà attività una piattaforma informatica comune dedicata alla formazione, in particolare dei coordinatori. Sicuramente ci saranno poi scambi di esperienza attraverso la creazione di gruppi di lavoro.

Il direttore dell’Organización Nacional de Trasplantes spagnola, Rafael Matesanz, spiegava che Italia, Francia e Spagna insieme rappresentano il 50% delle donazioni da cadavere e il 45% circa dei trapianti in Europa. Ma questo significa che nel resto di Europa c’è una “emergenza trapianti”?
Non direi. Piuttosto i risultati riflettono il fatto che in Italia, Francia e Spagna c’è una risposta più razionale e una migliore organizzazione della rete trapiantologica. Questo non vuol dire che negli altri Paesi ci sia un’emergenza, anche se probabilmente ci sono margini di miglioramento.

Come ha reagito l’Europa alla nascita della South Transplant Alliance?
Abbiamo presentato il progetto nell’ultima riunione dei ministri della Salute europei tenuta a Cipro. La reazione direi che è stata di interesse. Alcuni Paesi hanno già manifestato il desiderio di unirsi a noi.

È prevista la possibilità di ingresso di altri Paesi nell’Alleanza?
È previsto se saranno soddisfatti determinati criteri di organizzazione e qualità. Non si tratta di fare una classifica di Paesi primi, secondi o terzi, ma dobbiamo garantire che il sistema trapianti sia di qualità e che la qualità si diffonda. Rispondere a questi requisiti per entrare nell’Alleanza vuole essere un modo per riuscirci.
 

01 ottobre 2012
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