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Come cambia la cura del cancro al seno? Ecco cosa ne pensano gli esperti


28 NOV - “Data l’eterogeneità del tumore del seno è necessario arrivare a capire meglio la biologia del tumore, prerequisito fondamentale per un trattamento individualizzato. È infatti ormai chiaro che non è più possibile avere una unica strategia di approccio al tumore ma che, invece, occorre avvalersi di ulteriori parametri prognostici e predittivi che favoriscano la creazione di terapie mirate alle caratteristiche di ogni singolo tumore. Lo sviluppo di test che definiscono il profilo genetico di un tumore è un passo importante in questa direzione, aiutando anche a differenziare i pazienti con un basso profilo di rischio da quelli ad alto rischio, attraverso l’analisi dei geni correlati all'attività di proliferazione e all’espressione dei recettori ormonali”. Le parole sono Wolfgang Eiermann, esperto internazionale di tumore al seno Direttore dell’Interdisciplinary Oncology Center di Monaco, e riassumono quale sembra essere il futuro della ricerca sul carcinoma alla mammella e ad altri tipi di neoplasia.
 
Idea condivisa da Michelino de Laurentiis, Docente di Oncologia Molecolare presso l’Università Federico II di Napoli e Direttore della Divisione di Oncologia Medica Senologica dell’Istituto Tumori ‘Fondazione Pascale’ della stessa città: “È finita l’epoca in cui il tumore della mammella veniva considerato una malattia unica – ha dichiarato lo scienziato – assoggettata indistintamente a tutte le terapie possibili. Oggi ci stiamo orientando sempre più verso una ‘personalizzazione’ della terapia, che consiste nel definire caso per caso la migliore strategia terapeutica integrata. In quest’ottica, i più recenti test genomici sono in grado di dirimere i dubbi terapeutici in casi particolarmente difficili”.
 
Un percorso che non nasce certo dall’oggi al domani, e il cui campo di ricerca e applicazione non fa che crescere. “La comprensione che tumori apparentemente simili sono estremamente diversi da un punto di vista molecolare ha aperto una nuova strada per migliorare le cure in oncologia”, ha aggiunto Giampaolo Bianchini, oncologo presso il Dipartimento di Oncologia Medica del San Raffaele di Milano. “Questo significa non solo cercare farmaci migliori per trattare il paziente, ma identificare il sottogruppo di pazienti che potrà davvero derivare un significativo beneficio terapeutico dai trattamenti attualmente disponibili. In quest’ottica i più recenti test su base genomica, rispetto alle metodiche standard utilizzate ad oggi nella pratica clinica corrente, consentono di selezionare con maggiore precisione il sottogruppo di donne che trattate con terapia ormonale e in assenza di coinvolgimento linfonodale, non è atteso possano beneficiare significativamente da un trattamento aggiuntivo chemioterapico sia perché il loro rischio di recidiva è estremamente basso e sia perché il beneficio atteso dalla chemioterapia in quel sottogruppo è estremamente basso. Anche una sottostima del rischio di recidiva con metodi non sufficientemente accurati e riproducibili può comportare da parte dell’oncologo il suggerimento di evitare un trattamento chemioterapico adiuvante, dal quale la paziente avrebbe invece potuto derivare un beneficio clinico”.

28 novembre 2012
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