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La terapia per la BPCO. Quali i farmaci disponibili e quali le novità?


06 DIC - Negli ultimi 20-30 anni il trattamento della BPCO è sicuramente migliorato: si è potuto fare molto per  incrementare la qualità della vita,controllare le riacutizzazioni e tentare di ridurre la mortalità. Tutto ciò è testimoniato dai risultati di numerosi studi clinici che hanno coinvolto un elevato numero di pazienti e che sono stati pubblicati nel corso degli anni. Tuttavia rimangono ancora diversi bisogni non soddisfatti: la patologia continua a progredire, i pazienti sono ancora frequentemente ospedalizzati e, sicuramente, si può fare di più per migliorare ulteriormente la loro qualità della vita.
 
Quali sono le terapie attualmente usante nel trattamento della BPCO? A rispondere è Mario Cazzola, Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio  presso l’Università di Roma ‘Tor Vergata’: “Partiamo da un dato molto importante emerso dallo studio l'ECLIPSE, un importante studio internazionale di tipo osservazionale, prospettico, della durata di 3 anni, condotto su una popolazione complessiva di oltre 2100 pazienti con BPCO da moderata a molto grave (stadi GOLD II - IV) e 566 controlli (fumatori e non fumatori)”, ha detto l’esperto. “Da questo studio è emerso che solo il 30 percento dei pazienti sono soggetti a frequenti riacutizzazioni, mentre il restante 70  percento non presenta affatto o accusa solo occasionalmente una riacutizzazione. Questo conferma quanto riportato e suggerito delle linee guida GOLD 2011 (Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease) secondo le quali il trattamento di prima scelta della BPCO prevede l'impiego dei broncodilatori a lunga durata d’azione, farmaci che si sono dimostrati molto efficaci nel trattamento regolare,  per controllare e migliorare i sintomi e lo stato di salute, mentre, nei pazienti gravi con frequenti riacutizzazioni, possono essere aggiunti alla terapia di fondo con broncodilatatori gli steroidi inalatori o gli inibitori della fosfodiesterasi-4.”
 
Ma cosa succede in Italia? “Nella prassi,  in realtà, abbiamo riscontrato, grazie all'analisi del database della SIMG (Società Italiana Medicina Generale), che nel nostro paese, similmente a quanto si osserva in tutti i Paesi con economie avanzate, si tende spesso a somministrare come terapia iniziale un'associazione di broncodilatatore (beta2 agonisti) con steroidi per via inalatoria”, ha spiegato Cazzola. “Questo avviene verosimilmente perché il Medico di Medicina Generale non sempre individua con chiarezza la BPCO e spesso non pone diagnosi differenziale con l'asma.  Inoltre, egli è frequentemente pressato dalla necessità di dare una risposta immediata alle richieste del paziente. Devo, comunque, convenire che questa non è sempre una scelta sbagliata in assoluto, ma devo anche evidenziare che spesso non è la scelta più appropriata”.
 
Fondamentale per evitare le riacutizzazioni e migliorare gli esiti clinici è l’aderenza alla terapia. Ma quali sono i farmaci a disposizione? “I broncodilatatori a lunga durata attualmente a disposizione si dividono in due classi: LAMA (Agenti antimuscarinici a lunga durata d'azione) e LABA (beta2-agonisti a lunga durata d'azione)”, ha continuato il docente di Tor Vergata. “I farmaci antimuscarinici/anticolinergici (LAMA) sono particolarmente interessanti perché essi contrastano un eccesso di attività da parte del sistema nervoso parasimpatico che ha la fondamentale funzione di regolare il tono della muscolatura liscia bronchiale e preservarci dagli insulti derivanti dalla inalazione di sostanze potenzialmente irritanti, come il pulviscolo atmosferico o il fumo di sigarette, grazie ad una momentaneo aumento del tono bronchiale, con una conseguente broncodilatazione.  Quando l’aumento del tono bronchiale diventa eccessivo e/o soprattutto permanente, diventa imperativo intervenire farmacologicamente.  Bloccando i ricettori muscarinici presenti sui bronchi, che sono quelli che vengono attivato dalla iperfunzione del sistema nervoso parasimpatico e causano gli eventi biochimici che portano alla broncocostrizione, si può modulare questa risposta "eccessiva" e ridurre l’eccesso di tono bronchiale, il che si riflette clinicamente in una broncodilatazione la cui durata dipende dal tipo di antimuscarinico che abbiamo utilizzato. Semplificando, si può dire che i LAMA agiscono impedendo l'ostruzione dei bronchi per un lungo tempo, almeno 24 ore.  Oggi il farmaco di riferimento con questa modalità di azione  è il tiotropio”.
 
Tuttavia ci sono delle novità in campo farmacologico che verosimilmente potranno aiutare nel trattamento. “Recentemente l'EMA ha autorizzato in Europa un nuovo  LAMA, il  glicopirronio bromuro  che, pur essendo capace di indurre una broncodilatazione di almeno 24 ore come il tiotropio, rispetto a questo presenta una maggior rapidità di azione, entro i primi 5 minuti dalla sua assunzione. La rapidità d'azione è molto importante perché il paziente con BPCO lamenta al mattino, al risveglio,  spesso una maggior costrizione dei bronchi con importanti sintomi clinici, a cui deve dare sollievo nel minor tempo possibile”, ha spiegato ancora Cazzola. “Vi sono poi altri nuovi antimuscarinici in fase di approvazione o di studio, alcuni in monosomministrazione, altri in due somministrazioni al giorno. Per quanto riguarda l'ambito dei LABA (beta2-agonisti a lunga durata d'azione), questi agiscono su un altro tipo di recettori,  "i recettori beta2", che quando stimolati inducono una rapida dilatazione dei bronchi. Si stanno studiando farmaci ad azione sempre più prolungata, i cosiddetti Ultra-LABA (così definiti per durata dell'azione); il primo, e al momento ancora l’unico, ultra-LAMA disponibile per il paziente è l'indacaterolo, farmaco da assumere in mono-somministrazione quotidiana. Altri ultra-LABA sono in studio e potrebbero essere disponibili nel 2014 o nel 2015, da soli o in associazione con un antimuscarinico”.   
 
Infine, un'altra area di ricerca è proprio quella delle associazioni dei LABA con i LAMA. “Dagli studi più recenti risulta che i due sistemi, quello dei recettori muscarinici e quello dei beta2, si "parlano" e l'azione su un sistema può influenzare l'azione dell'altro”, ha concluso l’esperto. “Sfortunatamente, le associazioni che si possono fare usando due farmaci diversi in modo separato rischiano di essere "empiriche". E’, dunque, molto importante studiare a fondo un'associazione di due broncodilatatori con meccanismi diversi d’azione al fine di individuare il dosaggio ottimale dei due principi attivi capace di incrementare l'efficacia e limitare gli effetti collaterali, e questo è ancora più importante quando ci si prefigga di preparare una combinazione di farmaci da utilizzare a dosi fisse nello stesso inalatore. Avere poi a disposizione un prodotto farmaceutico con più principi attivi associati da poter essere assunto in monosomministrazione è fondamentale per l'adesione al trattamento da parte del paziente e per gli esiti clinici. Da questo punto di vista è interessante QVA 149, che prevede l'associazione fissa di indicaterolo e glicopirronio e cheal momento è in fase di sottomissione del pacchetto registrativo alle autorità regolatorie in diversi Paesi, essendo stati ultimati con successo importanti studi di valutazione della sua efficacia e sicurezza. Altre combinazioni sono attualmente in studio. Infine, come combinazioni, sono allo studio altre terapie indicate per quel 30 percento di pazienti che hanno riacutizzazioni frequenti e per i quali un broncodilatatore a lunga durata può essere accoppiato ad uno steroide e/o ad un farmaco antiinfiammatorio non steroideo, tipo un inibitore delle fosfodiesterasi 4”.

06 dicembre 2012
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