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La ricerca italiana. Ecco come reparixin potrebbe fare la differenza


29 GEN - La nuova frontiera della ricerca per la cura del diabete di tipo I e le sue opportunità applicative sono al centro dell’attenzione degli esperti di tutto il mondo in occasione del Simposio “Current issues in pancreas/islet transplantation”, in programma ad Innsbruck (Austria) nell’ambito del Congresso. Il trattamento potrebbe avere ancora maggior spazio come risorsa terapeutica per i pazienti con diabete di tipo I grazie all’impiego di reparixin, farmaco che ha dimostrato di migliorare l’efficienza del trapianto ed è stato messo a punto da Dompé, una delle principali aziende biofarmaceutiche in Italia. 
 
Reparixin è un inibitore potente e selettivo dell’interleuchina-8, una chemochina che gioca un ruolo fondamentale nella risposta infiammatoria alla base della riduzione di efficacia del trapianto di cellule delle isole pancreatiche. Il farmaco è stato sviluppato per inibire in modo specifico l’infiammazione, preservando quindi la funzionalità delle isole trapiantate e migliorando di conseguenza l’efficienza del trapianto. Ha da poco preso il via uno studio clinico di Fase III randomizzato, multicentrico e in doppio cieco, che viene condotto in 5 Paesi e 8 centri in Europa e negli USA e prevede l’arruolamento di circa 50 pazienti, approssimativamente la metà di quanti annualmente vengono sottoposti nel mondo all’innovativa procedura terapeutica. Lo studio mira a valutare l’efficacia del farmaco nel migliorare l’efficienza del trapianto di isole, proteggendo funzionalità e sopravvivenza delle cellule trapiantate, e di aumentare la percentuale di pazienti che raggiungeranno l’indipendenza dall’insulina grazie alla terapia. “L’industria farmaceutica ha raccolto l’impegno di presidiare le aree calde della ricerca e di indirizzare i propri investimenti in ambiti caratterizzati da un altissimo bisogno terapeutico espresso da una popolazione di Pazienti molto ristretta”, ha spiegato Eugenio Aringhieri, Amministratore Delegato del Gruppo Dompé. Affinché questo processo virtuoso possa proseguire è imprescindibile un contesto regolatorio capace di valutare e di garantire regole di accesso chiare e omogenee. Interventi da tempo auspicati ma che, in questo caso, diventano assolutamente inderogabili perché rappresentano l’unica reale garanzia per offrire ai Pazienti una risposta ai loro bisogni di cura”. 

Nel corso del Simposio, che vede la partecipazione di alcuni tra i massimi esperti internazionali sul tema, è emerso chiaramente il ruolo del trapianto di isole pancreatiche in questa patologia. A fronte di vantaggi evidenti per il paziente e per il sistema sanitario, al momento il ricorso alla procedura appare limitato sia per la ridotta presenza di centri in grado di effettuarla sia per i diversi fattori che riducono progressivamente la funzionalità delle isole pancreatiche trapiantate. La risposta infiammatoria che si sviluppa nel paziente nei giorni immediatamente successivi all’infusione delle cellule, che si effettua attraverso una semplice iniezione nella vena porta, riduce infatti del 50 per cento la funzionalità cellulare nella prima settimana, con ovvie ripercussioni sull’efficacia finale della procedura. “Come uomo di scienza, ho sempre focalizzato il mio impegno sullo sviluppo di approcci terapeutici per la prevenzione e la cura del diabete. In particolare, ho contribuito al progresso sperimentale e clinico del trapianto di isole pancreatiche, procedura che sono certo possa diventare una reale alternativa al trapianto d’organo”, ha commentato Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute di Miami, tra i massimi esperti nel mondo in Diabetologia. “I dati dimostrati sino ad ora da Reparixin confermano che la terapia antiinfiammatoria mirata può rappresentare un contributo fondamentale non solo nel rigetto dei trapianti, ma anche per la piena affermazione del trapianto delle isole pancreatiche. La speranza è che tale potenziale terapeutico possa giungere a conferma, per arrivare a ottimizzare i risultati della tecnica e soprattutto migliorare significativamente la qualità di vita del paziente, riducendo al contempo il rischio legato all’immunosoppressione protratta, oggi necessaria per questi pazienti”.

29 gennaio 2013
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