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Sotto test la modalità di somministrazione che potrebbe migliorare la vita delle pazienti


29 GEN - Ma l’eccellenza spesso passa anche per la capacità di ricerca. E la città partenopea in questo senso non fa eccezione: tra le altre cose, l’IRCCS di Napoli è anche il Centro coordinatore di uno studio clinico internazionale volto a sperimentare una nuova modalità di somministrazione della terapia biologica per il trattamento del tumore HER2 positivo.
 
“Si tratta dello studio SaferHER, partito nel 2012,che coinvolge circa 500 Centri in tutto il mondo e si prefigge il reclutamento di un elevato numero di pazienti con tumore mammario HER2 positivo: circa 2.500”, ha spiegato Michele De Laurentiis, coordinatore per l’Italia del progetto e membro del Comitato Guida internazionale, oltre che Direttore U.O.C. Oncologia Medica Senologica, Istituto Nazionale Tumori Pascale. “Nello studio, le pazienti arruolate dopo essere state sottoposte ad intervento chirurgico riceveranno come terapia adiuvante, per la durata di un anno, l’anticorpo monoclonale trastuzumab nella innovativa formulazione sottocutanea. Un gruppo di pazienti verrà trattato con un’iniezione sottocutanea di trastuzumab eseguita da un infermiere. Un altro gruppo di pazienti, invece, verrà dotato di un dispositivo medico pronto per l’uso, realizzato ad hoc per l’autosomministrazione, in vista di un’eventuale uso domiciliare”.
                                                                                                              
La sicurezza della somministrazione sottocutanea era stata dimostratagià nello studio registrativo HannaH, unt trial di fase III che ha inoltre dimostrato come con questo metodo l’efficacia sia paragonabile a quella ottenuta per via endovenosa. “La somministrazione sottocutanea di trastuzumab è già stata oggetto di numerosi studi tanto che questa nuova modalità è in fase di registrazione presso l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA)”, ha spiegato De Laurentiis. “Lo studio HannaH ha dimostrato in maniera inequivocabile che la somministrazione per via sottocutanea è paragonabile a quella per via endovenosa in termini di efficacia e di safety. Grazie a queste evidenze si è potuto procedere alla richiesta di registrazione per l’uso clinico che dovrebbe avvenire entro la seconda metà del 2013”.
 
Ma oltre ad aggiungere dati relativi alla sicurezza, lo studio vuole anche valutare la gestione e il gradimento del dispositivo utilizzato per l’autosomministrazione, e dunque comprendere quale sia l’impatto di questo diverso metodo di somministrazione sulla qualità della vita delle pazienti.
Il primo vantaggio offerto dalla somministrazione sottocutanea è infatti rappresentato dalla minore invasività rispetto alla somministrazione endovena. Altri vantaggi derivano dalla maggiore rapidità e praticità con cui viene somministrato l’anticorpo monoclonale: la durata della somministrazione sottocutanea è di circa 5 minuti contro i 30-90 minuti della somministrazione per via endovenosa; non c’è attesa per la poltrona d’infusione quindi nel complesso la permanenza in ospedale è ridotta al minimo. “Molto innovativa anche la tecnologia utilizzata, che permette la somministrazione sottocutanea di volumi di farmaco superiori a 2 ml; nel caso di trastuzumab iniettato per via sottocutanea, si somministreranno 5 ml di soluzione contenente l’anticorpo monoclonale trastuzumab”, ha spiegato l’esperto. “L’idea è stata quella di associare all’anticorpo monoclonale la ialuronidasi umana ricombinante, un enzima ottenuto in laboratorio con tecniche di DNA ricombinante. Si tratta di una proteina enzimatica capace di idrolizzare temporaneamente l’acido ialuronico presente nel tessuto sottocutaneo permettendo il passaggio del farmaco attraverso il tessuto sottocutaneo verso il circolo sistemico”.
 
In questo modo, anche le strutture ospedaliere hanno vantaggi.“Il reparto e la farmacia sono sgravati di parecchio lavoro: si evitano i tempi di preparazione della terapia (le fiale sottocutanee sono praticamente pronte all’uso), non è richiesto il posto nella sala/poltrona d’infusione, non ci sono scarti di farmaco poichè nella formulazione sottocute il dosaggio è fisso, mentre nella formulazione per via endovenosa è calcolato in base al peso della paziente, naturalmente si creano anche meno rifiuti ospedalieri”, ha continuato De Laurentiis. “Nel complesso quindi con la somministrazione sottocutanea l’impiego di risorse sanitarie è ridotto.
 
E forse, in un futuro prossimo, si potrà anche arrivaread un sistema in cui la paziente può veramente autogestire la somministrazione. “Molto chiaramente dipenderà dagli Enti regolatori”, ha concluso il ricercatore del Pascale. “L’Europa per questa speciale opportunità è un passo avanti agli Stati Uniti. Siamo ottimisti, al momento sono in corso altri studi come il PrefHER che analizzerà anche le preferenze delle donne in fatto di somministrazione tradizionale e sottocutanea per valutare il reale valore aggiunto di quest’ultimo importante traguardo”.

29 gennaio 2013
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