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E una persona su dieci è allergica ai farmaci


17 NOV - Le reazioni avverse a farmaci possono coinvolgere 1/10 della popolazione mondiale e interessare fino al 20% di tutti i pazienti ospedalizzati. Più del 10% di tutte le reazioni avverse a farmaci sono reazioni di ipersensibilità imprevedibili (DHR – drug hypersensitivity reactions). è molto comune sia sotto-diagnosticare che sovra-diagnosticare tali reazioni.
Se ne è parlato durante la giornata conclusiva del Congresso Internazionale Allergologia di Genova “Highlights in Allergy and Respiratory Diseases”.
 
La forma più frequente di DHR riguarda gli antibiotici come penicilline, cefalosporine e sulfamidici, e l'aspirina e gli altri farmaci anti-infiammatori non steroidei. Lo spettro clinico delle DHR coinvolge vari organi, con diverse tempistiche e gravità. Le DHR possono essere gravi, anche pericolose per la vita, e sono associate a tassi di mortalità significativi. I farmaci possono essere responsabili fino al 20% dei decessi a causa di anafilassi.
Le DHR hanno un significativo impatto socio-economico, sia in termini di costi diretti (gestione delle reazioni e ricoveri) che indiretti (giornate perse di lavoro/scuola; farmaci alternativi). Le procedure diagnostiche per le DHR dovrebbero anche tentare di identificare i Meccanismi che le causano. La diagnosi è fondamentale per la gestione e la prevenzione delle DHR. In alcuni casi è necessaria la selezione di un farmaco alternativo o la desensibilizzazione.
 
Allergie agli antibiotici. Se accade che un paziente nel corso di una terapia antibiotica accusa delle reazioni, è importante distinguerle in due tipologie, quelle immediate e quelle non immediate. Le prime si verificano entro un’ora dall’assunzione dal farmaco, e hanno come espressione clinica più grave lo shock anafilattico, o più frequentemente delle eruzioni cutanee di tipo orticaria. Queste sono di tipo allergico, mediate da anticorpi: più tempo passa, meno è possibile rivelarli, sia sulla cute che sul sangue. Quindi, in caso di reazione, occorre prendere nota del farmaco e poi rivolgersi in centri di riferimento per la diagnosi, entro e non oltre le 2-3 settimane.
 
“Le reazioni più frequenti – spiega il Prof. Antonino Romano, Direttore Unità Allergologia Complessi Integrato Columbus Roma e membro direttivo Siaic - sono state date dall’amoxicillina, che spesso viene somministrata in associazione con l’acido clavulanico: quest’associazione è il farmaco che provoca più reazioni nel mondo, nonché il più usato.  A seguire le cefalosporine e, soprattutto in Italia, il ceftriaxone, molto efficace e rapido nell’uso. Questi danno prevalentemente reazioni non immediate, alcune delle quali estremamente gravi, come la necrolisi tossica dell’epidermide, o Sindrome di Lyell, che equivale ad una ustione della superficie corporea. Fortunatamente è rara, con uno su 100mila trattamenti, ma nel 40% dei casi può provocare la morte. Nell’80% dei pazienti con shock anafilattico c’è un sintomo cutaneo, che è l’orticaria angioedemica”.
 
Nella parte non immediata la manifestazione cutanea più comune è l’esantema maculo-papuloso o morbilliforme, detto così proprio perché simile al morbillo. Quando i sintomi superano la settimana, soprattutto in un adulto, è probabile che si tratti di vera reazione allergica. In quel caso non intervengono degli anticorpi ma dei linfociti. “Gli antistaminici in questo caso funziona poco, meglio usare i cortisonici. A seconda del tipo di reazione – prosegue il Prof. Romano - si scelgono percorsi diversi: nel caso di reazioni immediate, laddove possibile, doso le IgE specifiche per il farmaco, oppure uso un test di attivazione dei basofili in vitro, cioè in laboratorio. Oppure direttamente sul sangue, cioè in vivo, attraverso test cutanei che sono definiti prick e, se negativi, si procede con i test di esposizione controllata. In caso di positività dell’esame, il soggetto è sicuramente allergico; si possono quindi trovare antibiotici alternativi a quelli che provocano l’allergia. Tutti questi esami consistono in un percorso che si attiva soltanto dopo aver riscontrato una reazione allergica ad un antibiotico.”
 
“In vari settori della medicina - sottolinea il Prof. Andrea Matucci, immunologo del Policlinico di Careggi Firenze - per il trattamento di molte patologie infiammatorie croniche immunomediate, (laddove il sistema immunitario del soggetto rappresenta il fattore scatenante della patologia), tra le quali le malattie allergiche nelle sue forme più gravi, e anche le patologie oncologiche, negli ultimi anni si è ormai imposto e diffuso l’uso dei farmaci cosiddetti biologici”.
 
Farmaci biologici e farmaci di sintesi. Questi sono così definiti per le modalità con cui vengono preparati, e per distinguerli dai classici farmaci di sintesi, comunemente in commercio.  Si tratta di farmaci quali ad esempio gli anticorpi monoclonali, che potremmo definire così dire “intelligenti”, cioè capaci di colpire in maniera selettiva le molecole o le cellule responsabili della malattia minimizzando gli effetti collaterali. Purtroppo anche per questi preparati vi sono effetti collaterali: si possono verificare delle reazioni avverse conseguenti alla loro somministrazione, spesso come risultato di una risposta che il sistema immunitario sviluppa verso il farmaco stesso.
 
“Oggi esiste la possibilità di valutare e diagnosticare la presenza di una, per così dire “allergia” al farmaco biologico, e di attuare delle strategie volte ad identificare in maniera preventiva i pazienti potenzialmente reattivi – conclude Andrea Matucci immunologo del policlinico di Careggi Firenze - Questo ha ovviamente un particolare significato per garantire sicurezza ai pazienti che devono essere trattati per patologie spesso importanti. Da noi a Firenze, il gruppo di Immunologia ed Allergologia diretto dal Prof. Enrico Maggi, con la collaborazione della dott.ssa Alessandra Vultaggio è impegnato da vari anni in questo settore sia dal punto di vista della ricerca avanzata che dal punto di vista clinico applicativo. Anche in questo settore nel prossimo futuro ci saranno progressi importanti che porranno la figura dell’immunoallergologo al centro della gestione di queste terapie. L’impatto di queste nuove strategie diagnostiche appare di rilievo se si tiene conto che in circa il 70% dei pazienti che sviluppano reazioni avverse infusionali è possibile dimostrare anticorpi anti-farmaco biologico . Una parte di questi soggetti possono essere sottoposti a procedure definite di “desensibilizzazione” capaci di superare il problema e garantire la prosecuzione di terapie così importanti”.

17 novembre 2013
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