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L’anticorpo che scatena il sistema immunitario contro il cancro: nuovi dati dello studio Blast


16 DIC - Un farmaco che attacca su due fronti: da un lato cattura le cellule malate del sangue e dall'altro scatena il sistema immunitario per farlo combattere contro il tumore. Funziona così blinatumomab, sviluppato dalla società biotech tedesca Micromet acquisita dal gruppo statunitense Amgen nel 2012. Il farmaco fa parte della famiglia degli anticorpi BiTE (Bispecific T-cell Engager), cioè una classe di anticorpi progettati per supportare il sistema immunitario, agevolando la sua azione contro le cellule tumorali. Al 56°congresso della Società americana di ematologia (Ash) svoltosi di recente a San Francisco, sono stati presentati i dati dello studio di fase II Blast che confermano l’efficacia di questa nuova terapia che in pratica accende le difese naturali dell’ospite contro il tumore.

Riduzione della malattia minima. Nello studio condotto su 116 pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta a cellule B che conservavano segni di malattia attiva nonostante i benefici ottenuti con la terapia tradizionale, blinatumomab si è dimostrato in grado di azzerare le tracce molecolari della leucemia nel 78% dei malati. E nel 98% dei casi la risposta completa è stata ottenuta dopo un solo ciclo di trattamento per infusione continua.
Il sistema immunitario e il cancro. I linfociti T sono dei globuli bianchi specializzati che rivestono un ruolo centrale nel sistema immunitario dell’uomo. Si tratta di uno dei principali meccanismi di difesa dell’organismo, la cui funzione è quella di contribuire all’azione del sistema immunitario nel contrastare le invasioni esterne, ad esempio ad opera di virus, al fine di prevenire e combattere le malattie. Inoltre i linfociti T sono in grado di iniettare delle tossine nelle cellule tumorali, provocandone la morte. Sebbene i linfociti T abbiano la capacità di combattere le cellule tumorali, affinché agiscano occorre fare in modo che tali cellule siano riconosciute come entità pericolose. Le cellule tumorali, infatti, possono eludere il sistema immunitario applicando diversi meccanismi per non essere individuate. Le cellule tumorali si sviluppano all’interno dell’organismo e sono in grado di aggirare il sistema immunitario assumendo le sembianze di normali cellule sane; in questo modo i tumori evitano di essere attaccati e distrutti dal sistema immunitario.

Il ruolo degli anticorpi BiTE. Gli anticorpi BiTE oggetto di studio sono stati sviluppati per aiutare i linfociti T ad attivarsi e combattere le cellule tumorali. Lo scopo è quello di innescare una risposta in grado di contrastare l’abilità delle cellule tumorali di eludere il sistema immunitario. Gli anticorpi modificati agiscono legandosi a due target contemporaneamente e facendo da ponte tra di essi (uno è un recettore dei linfociti T, l’altro una molecola specifica delle cellule tumorali). Si ritiene quindi che gli anticorpi BiTE portino i linfociti T a stretto contatto con le cellule tumorali, permettendo loro di riconoscerle e contrastarle. Utilizzando il ponte creato dagli anticorpi BiTE, i linfociti T si trovano nella posizione ideale per combattere le cellule tumorali.

L’approvazione dell’FDA. “Si tratta di un farmaco molto attivo che proprio in questi giorni - spiega Robin Foà, a capo della Divisione di ematologia dell’università Sapienza di Roma, fra i centri italiani che collaborano agli studi sull’anticorpo bispecifico - ha ricevuto con procedura ultra-veloce il via libera dell’agenzia del farmaco americana, l’Fda, per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta a cellule B recidivata-refrattaria. Il dossier per ottenere l’approvazione alla stessa indicazione è stato sottoposto anche all’europea Ema”.

Un farmaco per tutte le età. In Italia, questa malattia colpisce ogni anno circa 450 uomini e 320 donne (dati Airc). Ma soprattutto è il tumore più frequente tra i bambini che, nonostante un raddoppio dei casi a lieto fine negli ultimi decenni, una volta su 5 non reagiscono ancora con successo al trattamento. Le forme a cellule B, contro cui agisce blinatumomab, rappresentano il 70-80% dei casi di leucemia linfoblastica acuta. “Nelle forme recidivate-refrattarie - spiega Foà - il farmaco può fare da ‘ponte’ verso il trapianto di midollo, l’unica speranza di guarigione che però è impossibile effettuare in certi stadi di malattia. Mentre nei casi di malattia minima, in cui dopo una terapia tradizionale la leucemia resta presente in residui rilevabili solo con tecniche di biologia molecolare, ma destinate prima o poi a recidivare, blinatumomab può azzerare la patologia o permettere di portare il paziente al trapianto”. “Uno dei vantaggi di questo farmaco - prosegue l’ematologo - è quello di avere una tossicità molto limitata rispetto alla chemioterapia e quindi di poter essere utilizzato in ogni tipo di paziente: dagli adulti ai bambini, ma anche agli anziani”. Ed è proprio su un sottogruppo di pazienti anziani che i centri italiani sperimentatori di blinatumomab progettano di avviare uno studio ad hoc sotto l’egida del Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche nell’adulto): “Vorremmo utilizzare l’anticorpo bispecifico in pazienti colpiti da leucemia linfoblastica acuta a cellule B positivi al cromosoma Philadelphia (30% dei casi, con punte del 50% fra gli anziani)”. Questo tipo di pazienti, infatti, reagisce bene ai farmaci intelligenti che hanno cambiato la storia dell’ematologia moderna, ma presentano tutti tracce molecolari di malattia che possono causare ricadute. “Per gli anziani - conclude Foà - blinatumomab potrebbe rappresentare una terapia chemio-free”. 

16 dicembre 2014
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