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Salmaso (Iss): "Nessun obbligo, ma serve un forte sforzo comunicativo"


10 GEN - "Quando si parla di vaccinazione, si tende a pensare che ne esista una soltanto. In realtà le vaccinazioni disponibili sono diverse e rivolte a target di popolazione differenti. Le diverse vaccinazioni attive in Italia hanno ottenuto negli ultimi anni risultati poco omogenei. Ottimi per quanto concerne quelle dell’infanzia, meno positivi le altre". A illustrare le principali caratteristiche dell'offerta vaccinale in Italia è stata Stefania Salmaso, direttore del Centro di Epidemiologia, Sorveglianza e Prevenzione della Salute dell'Iss, intervenuta stamani al Convegno “La vaccinazione tra diritto e dovere. Quale comunicazione per facilitare la scelta?” organizzato stamani dall’Istituto superiore di sanità in collaborazione con l’associazione Donneinrete.
"Le vaccinazioni da effettuare nel primo anno di età sono le più consolidate con una copertura superiore al 95 per cento. Sono state sostenute da un obbligo di legge che, più che essere considerato un’imposizione ai cittadini, va visto come uno strumento che ha consentito di estendere in maniera uniforme sul territorio nazionale un diritto alla salute per tutti i nuovi nati", ha aggiunto Salamaso spiegando che "a lungo le vaccinazioni infantili sono stati quelle contro la poliomielite, la difterite e il tetano. Ma nel tempo, la formulazione dei vaccini polivalenti, ha consentito di aggiungere altri fattori di protezione. Per cui oggi i bambini ricevono quasi sempre prodotti che proteggono contro 6 malattie: oltre alle tre citate, la pertosse, l’epatite B e l’Haemophilus influenzae di tipo B. Grazie a queste percentuali di copertura, queste patologie sono state quasi azzerate".
Tuttavia, ha sottolineato l'esperta, "sulle vaccinazioni esiste un effetto feedback negativo. Quando l’impatto della malattia è molto forte è altrettanto forte il desiderio di vaccinazione per evitare gli effetti della patologia. Mentre, mano a mano che la malattia scompare si perde la percezione del rischio e dell’importanza di mantenere vive le strategie di prevenzione. E invece è importante proseguire con le vaccinazioni. E non mancano i casi che lo dimostrano. La poliomielite, per esempio, fino a prima degli anni 60 faceva molte vittime in Italia. Oggi, la vaccinazione protegge gran parte della popolazione adulta, mentre le persone più anziane sono venute già in contatto con l’infezione. È grazie alla vaccinazione di massa che l’introduzione del virus della polio in Italia, dopo l’esplosione di un’estesa epidemia di polio in Albania, non fece alcuna vittima. Avere molte persone immuni stronca, infatti, la diffusione del patogeno. Un’idea che stenta a fare breccia nella popolazione, dove di pari passo alla scomparsa delle malattie contro cui ci si vaccina, si “perde” la cognizione del guadagno e risaltano i rischi, che sono presenti ma in proporzione inferiore rispetto al rischio di malattia".

"Diversa - ha continuato Salmaso - è la situazione delle vaccinazioni che il bambino deve eseguire dopo il primo anno di vita. Tra il primo e il secondo anno di età viene offerto il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia. Malattie che nella percezione comune sono banali. In realtà, per quanto concerne il morbillo esiste un discreto tasso di complicanze, come encefaliti virali, polmoniti. Lo abbiamo toccato con mano quando nel 2002 abbiamo documentato un’estesissima epidemia di morbillo che in Campania ha causato 40 mila casi e 8 decessi in Italia.
I problemi principali connessi alla rosolia si riscontrano invece quando l’infezione è contratta in gravidanza. Il rischio è di dare alla luce un bambino affetto da rosolia congenita, a cui sono associate malformazioni, cataratta congenita, problemi all’udito e molte altre manifestazioni temibili. Inoltre, può accadere che una donna in gravidanza a cui viene diagnosticata l’infezione rubeolica consideri e scelga l’interruzione. Un’infezione confermata di rosolia in gravidanza è sempre un danno per la donna".

La proposta di vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia "non è recente ma non ha mai goduto dell’obbligo vaccinale". "Tuttavia - ha sottolineato l'esperta -, oltre all’assenza di un’imposizione sembra esserci un problema di percezione alla base della copertura inferiore agli obiettivi: spesso la popolazione considera l’obbligo di vaccinazione come un 'marcatore' di importanza, pertanto, 'se non c’è una legge allora la vaccinazione non è importante'. Oggi, i bambini di due anni di età (con una copertura dell’89 per cento) sono abbastanza protetti (ma non in misura sufficiente dato che bisogna arrivare ad una copertura del 95% e due dosi somministrate) , il problema rimangono gli adolescenti ed i giovani adulti che sono la popolazione che più sostiene le epidemie. Ancora più bassa l’adesione alla vaccinazione di richiamo per tetano e difterite, da fare a 14 anni e che soltanto il 50 per cento della popolazione di riferimento esegue".
Tutt’altro discorso vale invece per l’ultima delle vaccinazioni introdotte: quelle contro il papillomavirus umano. Pur con molte differenze locali, la copertura con tre dosi delle bambine nate nel 1997 – il primo gruppo di età che ha ricevuto in modo sistematico l’offerta di vaccinazione - è intorno al 58 per cento. "Ma si tratta di una nuova vaccinazione e non ci si aspetta che raggiunga immediatamente gli obiettivi", ha commentato Salmaso aggiungendo che, "piuttosto, rappresenta un banco di prova per la sanità pubblica. Innanzitutto perché le forti differenze regionali ci dicono che l’attività locale, la parte organizzativa, la comunicazione fanno la differenza. E poi perché è la dimostrazione di quanto sia diventata complessa la comunicazione. A lungo gli operatori si sono avvantaggiati della presenza della legge che imponeva l’obbligo della vaccinazione senza investire su comunicazione e informazione. E invece, oggi, l’educazione sanitaria, il convincimento degli operatori sanitari stesi sono indispensabili per garantire coperture vaccinali accettabili".
L’idea di introdurre nuove forme di vaccinazione con l’obbligo "oggi sembra anacronistica", ha osservato Salmaso. "L’obbligo ha una sua storia, una sua ragione in un’Italia, quella degli anni 60, estremamente diversificata sul territorio per cultura, condizioni economiche e sociali. In quell’Italia, l’obbligo ha consentito di offrire un servizio su tutto il territorio nazionale e per giunta gratuitamente. Garantire uno stesso diritto alla salute a tutti i neonati, dalla Sicilia alle Alpi. Ma oggi i tempi sono maturi per fare delle vaccinazioni l’oggetto di una scelta consapevole e responsabile. E morbillo, rosolia e parotite ci stanno a indicare quanto è difficile farlo. Soprattutto, senza un adeguato sforzo comunicativo.

10 gennaio 2011
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