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Giornata mondiale lotta Aids. Sif: “Passi avanti nell’aumento dell’efficacia dei farmaci e abbattimento effetti collaterali”


Pareggio nella guerra all’infezione da Hiv e contro l’Aids: con i farmaci a disposizione non si muore più, ma in compenso non è ancora possibile eradicare il virus dall’organismo. Durante lo stallo la ricerca però non sta con le mani in mano: migliora l’efficacia dei trattamenti e diminuiscono gli effetti collaterali. Il vaccino? Solo quando avremo individuato tutte le componenti di Hiv capaci di attecchire nelle cellule.

30 NOV - Il virus dell’immunodeficienza umana-1 (Hiv-1), che causa la sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids), è stato scoperto all’inizio degli anni Ottanta e da allora l’Aids è diventata un’epidemia globale. Alla fine del 2018, 37.9 milioni di persone vivevano con l'Hiv e 1.7 milioni di persone si sono ammalate. Tra gli individui con l’infezione da Hiv, 36.2 milioni (96%) erano adulti e 1.7 milioni (4%) erano bambini. La pandemia da Hiv differisce notevolmente tra regioni e paesi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), l’ Africa è la regione più gravemente colpita, con quasi 1 adulto su 25 (4%) infetto da Hiv e rappresenta circa il 66% dei pazienti Hiv-1 in tutto il mondo.
 
"Dagli anni Ottanta ad ora, lo sviluppo delle terapie antiretrovirali (Art) ha ridotto significativamente la morbilità e la mortalità associate a infezione da Hiv-1. La malattia, grazie a questi farmaci, può essere infatti cronicizzata: il virus dell’Hiv non viene eradicato, ma gli viene impedito di replicarsi e diffondersi nell’organismo a tal punto da diventare fatale per il paziente.
 
Le terapie antiretrovirali per il virus non mostrano rallentamenti. E dal momento che, con terapie adeguate, non si muoia più per Aids, adesso viviamo nella costante attenzione, come medici e scienziati, nei confronti dello sviluppo di nuove terapie sempre più efficaci e meglio tollerate e per le quali il paziente mostra maggior gradimento. L’enfasi della ricerca, adesso, tiene quindi conto anche dell’ esperienza del paziente e dell’impatto delle terapie per la sua qualità della vita.
 
Sebbene dopo quaranta anni abbiamo collezionato importanti traguardi, le urgenze cui la ricerca sta cercando di dare risposta sono quelle relative a criticità quali la diminuzione dell’efficacia nel tempo, l’insorgenza di resistenza e non ultima la tossicità per il paziente. Sono così state tenute in debito conto anche le conoscenze farmacogenetiche sulle terapie disponibili: avendo, ognuno di noi, un Dna diverso, le risposte alle urgenze di cui sopra sono diverse, e la farmacologia può concentrarsi sul caso singolo, nell’ottica di terapie sempre più personalizzate.
 
Grazie a questo approccio è stato possibile, per esempio, scoprire come la stavudina fosse tossica, inducendo una neuropatia del nervo sensoriale, nella popolazione caucasica e indonesiana ma non in quella africana, portando al ritiro di questo farmaco nelle popolazioni a rischio. Per superare le problematiche della ridotta efficacia delle terapie farmacologiche, negli ultimi anni, la ricerca si è poi focalizzata sulla messa a punto di farmaci con prolungata durata d’azione. Le formulazioni a lunga durata d’azione o quelle impiantabili, a lento rilascio, rappresentano una risposta efficace sia per trattare sia per prevenire l’infezione da Hiv, e aiutano a superare il problema dell’aderenza (costanza nel seguire le indicazioni del medico) alla terapia. Lo scopo principale è quello di mantenere il farmaco in forma attiva nell’organismo il più a lungo possibile, utilizzando formulazioni iniettabili per via intramuscolare o sottocutanea o anche mediante un impianto di sistemi a rilascio prolungato.
 
Sono molte le formulazioni di questo tipo in avanzato stato di valutazione, mediante studi clinici. Tra queste, anticorpi monoclonali come Ibalizumab e Leronlimab, come formulazione endovena, farmaci come Taf, Islatravir, Doletugravir, ma anche di nuova generazione come GS-9131 formulati per impianto. E ancora Rilpivirine ed Elsufavirine, della classe degli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa, Atazanavir e Ritonavir, inibitori della proteasi, Cabotegravir e Raltegravir, inibitori dell’integrasi, e Lenacapavir, inibitore del capside (l’involucro esterno che racchiude il virus), tutti formulati come iniettabili (intramuscolo o sottocute).
 
Alcuni di questi farmaci si trovano ancora in fasi precliniche, mentre altri sono più avanti, negli stadi della ricerca o già approvati per l’uso nei pazienti (Come Ibalizumab, autorizzato dalla Fda e Albuvirtide, autorizzato dalla corrispondente agenzia cinese). Un esempio importante di combinazione di farmaci a lunga durata d’azione è quello del trattamento antiretrovirale iniettabile con cabotegravir e la rilpivirina, effettuato ogni otto settimane o ogni quattro settimane che, nello studio clinico di fase 2 denominato Latte-2, ha dimostrato una efficacia comparabile a quella della somministrazione orale giornaliera degli stessi farmaci per un periodo di osservazione di 96 settimane in pazienti adulti con il virus Hiv di tipo 1. Lo stesso studio ha messo in evidenza la tollerabilità del trattamento e la sua utilità nella terapia di mantenimento nei pazienti affetti da Aids.
 
Sebbene la terapia farmacologica possa controllare la carica virale, mantenendola a un livello non rilevabile (e quindi non fatale), non riesce però ancora a cancellare completamente l’Hiv-1 dall’organismo, perché agisce solo sui virus replicanti attivati (sono quelli che derivano dalla replicazione del virus dell’Hiv che, dopo essersi integrato nel Dna delle cellule, qui rimane silente anche per tempi lunghi, rimanendo nel contempo inattaccabile da qualsivoglia terapia. In certi momenti si riattiva e rilascia nuovi virus), piuttosto che sui serbatoi latenti dove i virus risultano inattaccabili. Per questo motivo la terapia farmacologica con i farmaci antiretrovirali dura per tutta la vita. E questo incide notevolmente sugli effetti collaterali associati a terapie a lungo termine, comunemente riportati nei pazienti con HIV-1 e in trattamento, che plausibilmente diventano ancora più frequenti con l’avanzare dell'età.
 
La profilassi pre-esposizione sarebbe oggi l’approccio preventivo più efficace contro l’infezione da Hiv-1. Purtroppo, però, il programma di profilassi preventiva è insostenibile per molti paesi a più alta prevalenza di Hiv-1. Inoltre, usando la profilassi preventiva si possono verificare effetti avversi significativi. Ad esempio, è stato dimostrato che il farmaco Truvada agisce sulla densità delle ossa e sulle normali funzioni renali. Lo sviluppo di un vaccino profilattico per l’Hiv-1 che sia economico, efficace e sicuro è pertanto la strategia vincente per il controllo definitivo dell’epidemia da Hiv-1.
 
Dal primo studio clinico sul vaccino contro l’Hiv-1, che ha avuto luogo nel 1987, sono stati testati una nutrita serie di candidati vaccini, con strategie diverse, in più di 230 studi clinici di Fase I, II e anche III, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. La messa a punto di un vaccino efficace contro il virus in grado di stimolare sia le risposte immunitarie umorali che cellulari specifiche per HIV-1 rimane ancora e solo una grande sfida. Le risposte umorali sono immediate ma aspecifiche, come una prima linea difensiva, mentre le risposte immunitarie cellulari sono specifiche, vale a dire specializzate nell’attaccare esattamente quel virus.
 
Senza addentrarci in discussioni troppo complesse, diciamo qui che la sfida si sta giocando nel trovare le parti del virus dell’Hiv più idonee a sviluppare un vaccino che permetta una risposta adeguata del sistema immunitario contro il virus. Ogni virus è fatto di componenti capaci di evocare la risposta del sistema immunitario, chiamati «antigeni»: sappiamo che Hiv ha non un antigene, ma almeno una decina. Sino a che non li avremo isolati tutti e studiati in maniera da formulare diverse soluzioni affinché siano attaccati dagli anticorpi del nostro organismo, non avremo un vaccino efficace.
 
In queste ricerche ha importanza anche lo studio che mira a individuare le caratteristiche del vettore con cui costruire il vaccino. Il vettore è la componente capace di veicolare nella cellula i ritrovati in grado stimolare il sistema immunitario. In questo contesto viene in aiuto un recente studio che mette in evidenza come i vettori poxvirali altamente attenuati, come il vaccinia virus ankara modificato (un vettore virale privato della capacità di replicarsi e recentemente ritenuto molto valido per veicolare vaccini avendo lui stesso capacità di evocare risposte immunitarie), siano dei promettenti candidati . I risultati di questo studio permetteranno di capire come questo vettore vaccinico, opportunamente ottimizzato, possa diventare utile nella progettazione di vaccini contro l'Hiv/Aids".

30 novembre 2021
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