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Schizofrenia. Identificati i marker per effettuare la diagnosi


E' stata sempre una patologia difficile da diagnosticare e complicata da trattare. Da oggi, forse, una difficoltà in meno: dagli Stati Uniti uno studio che riconosce alcuni marker neurofisiologici e cognitivi che possono definire le condizioni dei pazienti a prescindere dalle fluttuazioni nello stato clinico.

20 LUG - Non esistono test in laboratorio che possano aiutare a diagnosticare la schizofrenia, né analisi che possano aiutare i medici a scegliere la terapia corretta, o predirne la riuscita. O almeno non esistevano fino ad oggi, quando una ricerca dell’Università della California di San Diego, pubblicata su PLoS One, viene in aiuto dei medici: gli scienziati dichiarano infatti di aver trovato un set di indicatori che possono essere utili per comprendere le anormalità nel cervello delle persone affette dalla patologia psichiatrica.
 
Secondo la ricerca infatti – e secondo precedenti teorie sulla schizofrenia – esisterebbe un gruppo ben selezionato di indicatori neurofisiologici o neurocognitivi che potrebbero offrire ai medici il modo di riconoscere in maniera sicura, accurata e a lungo termine le disfunzioni cerebrali, anche se i pazienti non si presentano (ancora o del tutto) i sintomi più evidenti. Si tratta di cosiddetti “endofenotipi”, ovvero marker che possono essere biochimici, fisiologici, neuroanatomici, neuropsicologici, cognitivi, percettivi. I metodi per riconoscere questi biomarker spazierebbero da test dell’attenzione e della memoria a analisi della risposta cerebrale a diversi suoni attraverso sensori posizionati sul cranio.
Gli scienziati hanno osservato alcuni di questi indicatori in 550 pazienti affetti da schizofrenia, per poi ri-testare i pazienti a un anno di distanza: la maggior parte dei marker risultava in effetti stabile nel tempo, e non cambiavano anche nei momenti in cui i pazienti sembravano stare meglio, per fluttuazioni dello stato clinico o dell’atteggiamento.
“Ad oggi la diagnosi dipende dalla sola abilità del medico curante, e di come questo sia capace di interagire con il paziente, per comprendere la sua vita interiore”, ha spiegato Gregory A. Light, primo autore dello studio. “Ecco perché scoprire la malattia e trattarla può essere molto difficile, tanto più che le cause non sono conosciute, se si esclude una componente genetica e la familiarità”.
In particolare, la cosa complicata è avere a che fare con pazienti che spesso non riescono a esprimere del tutto quello che provano, oppure che hanno disabilità cognitive, o ancora che possono assumere comportamenti pericolosi per gli altri o per loro stessi. “In sostanza, non è detto che i pazienti con cui abbiamo a che fare noi specialisti – che alla fine siano diagnosticati o meno come schizofrenici – riescano a spiegare cosa gli passi per la testa”, ha continuato il ricercatore. “Da domani potrebbe non essere più così”.
Il ricercatore ha però specificato che ci sarà bisogno di ulteriori ricerche, ad esempio per capire se questi indicatori possono essere utilizzati anche per diagnosticare altri disordini psichiatrici o per valutare se un determinato paziente risponderà in maniera migliore a uno specifico trattamento (farmacologico o meno). Nonché per capire se il paziente potrà in futuro peggiorare, presentando psicosi o comportamenti pericolosi.

20 luglio 2012
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