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Tumore al cervello. La cura dalle staminali?


Un nuovo traguardo della medicina italiana è stato raggiunto dagli scienziati del Cnr: una ricerca appena pubblicata su Nature Medicine potrebbe aiutare a sconfiggere il glioblastoma, il più diffuso e aggressivo tra i tumori al cervello. Il segreto sarebbe nell’uso delle cellule staminali nervose.

06 AGO - La neoplasia più maligna del sistema nervoso centrale è il glioblastoma, che in Italia colpisce oltre 7.000 persone ogni anno. Oggi per tutti questi pazienti continuano ad arrivare buone notizie, sempre dall'impegno di ricercatori italiani: dopo quello del Carlo Besta che la settimana scorsa ne svelava le cause, un'altro studio, stavolta dell’Istituto di chimica biomolecolare (Icb-Cnr) e dell’Istituto di Cibernetica (Icib-Cnr) del Consiglio nazionale delle ricerche in collaborazione con l'Endocannabinoid Research Group eil Max Delbruck Institute di Berlino e la Ludwig Maximilians University of Monaco di Baviera, dimostrerebbe che le cellule staminali nervose (dette progenitrici), nei soggetti giovani, sono in grado di contrastare lo sviluppo del tumore, offrendo nuove prospettive di cura. La ricerca è stata pubblicata su Nature Medicine.

Il glioblastoma (glioblastoma multiforme o astrocitoma di grado IV) è sicuramente il tumore del sistema nervoso centrale più diffuso e aggressivo, colpisce soprattutto gli over 50 e ne invade velocemente il cervello, incidendo in maniera significativa sulla qualità e sulle speranze di vita. La prognosi non è buona, varia da pochi mesi a un paio di anni al massimo. Tutto questo potrebbe però cambiare proprio grazie alla ricerca. “Il cervello più ‘giovane’ riesce a proteggersi dalla minaccia dei tumori grazie a una serie di strategie messe in atto dalle cellule staminali nervose”, ha spiegato Vincenzo Di Marzo dell’Icb-Cnr, coordinatore del Gruppo. “Queste, infatti, riescono a migrare verso le cellule tumorali di glioblastoma multiforme e a produrre specifici mediatori lipidici, gli endovanilloidi, in grado di indurre la morte programmata o apoptosi attivando i recettori dei vanilloidi, chiamati TRPV1, presenti in grandi quantità sulla superficie delle cellule tumorali”. Ciò spiegherebbe perché il tumore è quasi del tutto assente nei soggetti giovani, “mentre è più frequente negli anziani, che hanno una produzione più bassa di cellule staminali nervose”, ha commentato Di Marzo. “Con l'avanzare dell'età, l’incidenza del glioblastoma aumenta e parallelamente diminuisce il numero di tali cellule, deputate a migrare laddove è richiesta la produzione di nuovi neuroni o cellule gliali in caso di patologie neurologiche e psichiatriche”. 
Da qui, l’idea di utilizzare un modello animale in grado di ricreare la stessa autodifesa nel cervello dei topi adulti, iniettando nel tumore un vanilloide sintetico chiamato ‘arvanil’, precedentemente sviluppato da Vincenzo Di Marzo, in grado di attivare TRPV1 e bloccare la crescita tumorale. “Ovviamente i dati davranno trovare conferma nell'uomo prima di usare contro il glioblastoma tali attivatori sintetici o naturali (i recettori TRPV1 sono gli stessi della capsaicina, principio pungente del peperoncino rosso). In futuro si potrebbe pensare a una strategia più efficace coniugando ‘arvanil’ e ‘temozolomide’, l'agente chemioterapico più usato, a cui molti glioblastomi però sono resistenti”, ha concluso il ricercatore.

06 agosto 2012
© Riproduzione riservata

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