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L’intelligenza si predice controllando le interconnessioni nel cervello


Non sono solo la dimensione del cervello e l’attività delle sue regioni a determinare quanto si è intelligenti, ma anche quanto queste sono collegate fra loro. O meglio, quanto la corteccia prefrontale laterale, subito dietro le tempie, sia capace di comunicare con il resto del cervello. A dirlo uno studio su Journal of Neuroscience.

20 AGO - È solo un modo di dire, ma come spesso accade nasconde un po’ di verità: chiamare una persona intelligente “un grande cervello” potrebbe non essere del tutto errato. Ma soprattutto, spiegano alcuni ricercatori della Washington University di St. Louis, quel che conta è quanto sono forti le connessioni neurali di alcune zone dell’organo. In una ricerca pubblicata su Journal of Neuroscience, gli scienziati hanno infatti dimostrato come circa il 10% delle differenze di intelligenza tra individui possano essere spiegate tramite il funzionamento ottimale dei collegamenti tra la corteccia prefrontale laterale e il resto del cervello.
 
A lungo i neuroscienziati hanno sospettato che la dimensione del cervello avesse a che fare con l’intelligenza delle persone. E in effetti nel tempo è stato dimostrato che questa conta nelle variazioni delle capacità intellettive delle diverse persone per circa il 6,7%. Recentemente si è dimostrato che un altro 5% dell’intelligenza è legato proprio all’attività della corteccia prefrontale laterale, la regione appena dietro le tempie che è un importante centro di elaborazione cerebrale. Ma la ricerca appena pubblicata, per la prima volta al mondo, dimostra che ancora più importanti sono le connessioni. Per dirlo gli scienziati hanno usato la risonanza magnetica funzionale: hanno osservato il cervello di soggetti a totale riposo e poi ne hanno osservato l’attività cerebrale nel momento in cui gli era chiesto di svolgere una serie di giochi impegnativi a livello mentale. “Questo studio suggerisce che in parte ‘essere intelligenti’ significa avere una corteccia prefrontale laterale che fa bene il suo lavoro, ovvero che è effettivamente capace di comunicare con il resto del cervello”, ha commentato Todd Braver, co-direttore del laboratorio in cui è stato condotto lo studio.
“Quel che sappiamo di questa regione del cervello è che è quella che ‘ricorda’ obiettivi e istruzioni che servono per fare tutti gli step necessari a completare un compito”, ha spiegato Michael W. Cole, primo autore dello studio. “Dunque ha senso il fatto che la comunicazione di questa porzione di cervello con il resto dell’organo sia fondamentale per l’intelligenza: è come se funzionasse da sistema di checkup, per ottenere feedback per migliorare il controllo cognitivo”.
Secondo gli scienziati lo studio potrebbe fornire informazioni anche per comprendere meglio cosa succede nelle persone che hanno forti deficit cognitivi, come gli schizofrenici o le persone affette da altre patologie mentali.
 
Laura Berardi

20 agosto 2012
© Riproduzione riservata

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