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Mangiare poco "non" allunga la vita. Ecco come vengono smentiti 30 anni di ricerca


A dare la notizia, che sembrerebbe smontare definitivamente l’idea che la restrizione calorica possa rallentare l’invecchiamento, è uno studio su Nature, che per 25 anni ha analizzato gli effetti del “mangiar poco” sulle scimmie: più che quanto si mangia, conta cosa si mangia. E il genoma che si ha.

31 AGO - Per qualcuno – gli amanti della buona cucina – la notizia che non è vero che la restrizione calorica allunghi la vita potrà essere un sollievo, ma per altri – molti scienziati e medici – significa mettere in discussione trent’anni di ricerche: questo è infatti il tempo per il quale si è pensato che mangiare meno rallentasse l’invecchiamento, fino a che oggi Nature ha pubblicato una ricerca che sembra smentire tutto. Lo studio è stato condotto dai ricercatori del National Institute on Aging (Nia), uno dei National Institutes of Health statunitensi, e sembra dimostrare che non è tanto il ridurre il numero di calorie, quanto più il mangiare sano, a far vivere di più.
 
Quando lo studio è iniziato, 25 anni fa,le ricerche puntavano infatti tutte in un’altra direzione: gli studi su animali dalla vita breve, come vermi o mosche, dimostravano che la restrizione calorica permetteva loro di vivere più a lungo; ricerche sui topi dimostravano che i roditori con diete ipocaloriche risultavano in salute migliore, con pelo più lucente e muscoli più vigorosi. Infine, più recentemente, studi di natura molecolare avevano suggerito che assumere meno calorie, o assumere sostanze che mimassero gli effetti della restrizione calorica, potesse innescare un processo a cascata nell’espressione genica, che poteva avere come conseguenza quella di rallentare l’invecchiamento.
 
Poi, gli studi sulle scimmie, più simili all’uomo e dunque modello – in un certo senso – più interessante. Nel 2009 l’annuncio dai ricercatori del Wisconsin National Primate Research Center (Wnprc): secondo uno studio partito nel 1989, anche per questi animali mangiare meno voleva dire non morire di vecchiaia (l’1% degli animali a dieta era risultato morire per cause legate all’invecchiamento, contro il 37% delle cavie nel gruppo di controllo).
 
Ma oggi i risultati sembrano dire qualcosa di molto diverso.Gli scienziati statunitensi dei Nih hanno infatti messo a dieta alcune scimmie Rhesus per 23 anni, diminuendo del 30% le calorie del loro regime alimentare rispetto agli animali nel gruppo di controllo. E in effetti gli scienziati hanno osservato alcune differenze tra i due gruppi. Le prime avevano ad esempio un miglior profilo glicemico e lipidico. Ma, in effetti, non risultavano vivere più a lungo e le cause di morte erano simili per entrambi i gruppi (cancro, malattie cardiovascolari).
 
Come si spiegano differenze così sostanziali?Un motivo potrebbe trovarsi nei regimi dietetici piuttosto diversi somministrati ai primati: nello studio che ha fornito i dati pubblicati nel 2009, le scimmie non a dieta potevano mangiare a dismisura mentre nell’ultimo avevano pasti fissi; nel primo studio quelle a dieta assumevano molto più saccarosio rispetto a quelle del lavoro pubblicato su Nature (il 28,5% contro il 3,9%); in più i pasti delle scimmie del Nih erano ricchi di olio di pesce e antiossidanti, mentre quelli degli animali del Wnprc no. “A guardar bene, in effetti, i pasti che davamo noi ai primati non erano altrettanto sani”, ha ammesso Rick Weindruch, ricercatore che ha lavorato allo studio ventennale pubblicato tre anni fa.
 
“Quando iniziammo questi studi, il dogma era che una caloria è una caloria a prescindere dai nutrienti che si assumono”, ha spiegato Don Ingram, il gerontologo che quasi tre decadi fa disegnò lo studio appena pubblicato. “E invece, tutto sommato, la differenza è proprio in che tipo di calorie si ingeriscono:  i risultati del precedente studio sui primati potrebbero essere dovuti proprio, più semplicemente, ad una dieta non troppo sana e bilanciata”.
 
E gli uomini allora?Per ora non sembrano esserci prove a sufficienza a dimostrazione che la restrizione calorica allunghi la vita. Anzi, è più probabile che gli eccessi in entrambi i sensi – mangiare troppo o troppo poco – siano sbagliati, e che siano le persone di peso medio a vivere più a lungo. O, ancor più, potrebbe essere il Dna a contare, più di tutto. A pensarla così – e a tagliare un po’ corto sulla questione – è stato Nir Barzilai, esperto contattato proprio da Nature per un commento allo studio: “I miei studi sui centenari mi fanno pensare che la genetica sia di gran lunga più importante di dieta e stile di vita”.
 
Laura Berardi

31 agosto 2012
© Riproduzione riservata

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