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Distrofia di Duchenne: un nuovo ruolo per la distrofina


Non semplicemente una funzione strutturale. La proteina, secondo uno studio della Sapienza Università di Roma, sarebbe responsabile dell’«accensione» di specifici geni necessari per mantenere in salute i muscoli.

02 SET - È da un difetto genetico che rende le cellule incapaci di produrre distrofina che origina la distrofia muscolare di Duchenne, una patologia che porta alla morte progressiva delle fibre muscolari, prima a livello di gambe e braccia, poi anche a carico di cuore e apparato respiratorio.
Fino a oggi i ricercatori pensavano che la distrofina svolgesse un ruolo puramente meccanico e che la sua assenza rendesse la membrana più fragile a ogni contrazione e più permeabile a fattori tossici esterni. Con il tempo questo fenomeno porta alla morte delle fibre muscolari e di conseguenza all’instaurarsi di un processo infiammatorio cronico, che a poco a poco sostituisce il muscolo con vere e proprie cicatrici di tessuto fibroso incapaci di contrarsi.
Ma ora, uno studio condotto dal team di Irene Bozzoni, professore ordinario di Biologia molecolare alla Sapienza Università di Roma, e cofinanziato da Parent Project Onlus e Telethon, suggerisce un nuovo ruolo per questa proteina che potrebbero aprire la strada a strategie terapeutiche del tutto innovative.
Secondo la ricerca, pubblicata su Cell Metabolism, la distrofina accanto al già noto ruolo strutturale, ha anche una funzione più sofisticata: quella di controllare l’attività di altri geni che hanno un ruolo rilevante nello sviluppo della malattia.
In particolare si tratta di geni che contengono le informazioni per microRNA capaci di controllare in modo molto preciso alcuni fenomeni rilevanti nella patogenesi della distrofia quali lo stress ossidativo e la fibrosi. A conferma di quanto questi microRNA siano importanti, Bozzoni e il suo team hanno dimostrato come topi distrofici trattati con una terapia in grado di ripristinare soltanto il 10% della quantità fisiologica di distrofina stessero bene anche dopo due anni.
Quella piccola quantità di proteina è infatti sufficiente per ripristinare livelli normali di microRNA e quindi un corretto controllo dei geni responsabili della fibrosi e dello stress ossidativo.
Oltre a dare un grosso contributo alla comprensione della patogenesi di una malattia complessa come la distrofia di Duchenne, questa scoperta suggerisce nuove possibili strategie terapeutiche. “Una volta compreso meglio il funzionamento di questi piccoli RNA - ha spiegato Irene Bozzoni - potremo valutarne il potenziale terapeutico, ovvero se potranno essere utilizzati come farmaci intelligenti in grado di mettere le cellule muscolari sulla strada giusta”. Farmaci di questo tipo avrebbero infatti il vantaggio di agire in maniera molto specifica e di esercitare un effetto anche in piccole quantità. “Bisogna però trovare una modalità di somministrazione specifica, per far agire queste molecole solo nelle cellule muscolari”, ha aggiunto la ricercatrice. “A ogni modo la strada verso la terapia della distrofia di Duchenne passa necessariamente per un approccio combinato, che affianchi più trattamenti capaci nell’insieme di mantenere sane le cellule muscolari e per far sì che raggiungano il corretto livello di maturazione”. 

02 settembre 2010
© Riproduzione riservata

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