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Anestesia. Quello indotto dai farmaci è un vero e proprio “sonno”


Sebbene quella generale si usi in tutti gli ospedali, prima di oggi nessuno aveva mai compreso come funzionasse. Ora si sa che anche a livello di circuiti cerebrali e aree del cervello che vengono attivate, l’anestesia somiglia moltissimo a un sonno. I ricercatori spiegano: “La scoperta potrebbe essere utile nella pratica clinica”.

27 OTT - L’anestesia generale viene usata continuamente nelle sale operatorie di tutto il mondo. Eppure di cosa accada nel cervello dei pazienti anestetizzati si sa ben poco: spesso si dice che “vengono addormentati”, ma questo è sempre sembrato più un modo di dire, che la spiegazione esatta di ciò che avviene. Almeno fino ad oggi. Uno studio dell’Università della Pennsylvania ha infatti dimostrato che in un certo senso questo è proprio quello che avviene durante l’anestesia: sebbene ci siano delle differenze tra sonno naturale e sonno indotto dai farmaci per praticare un intervento, lo studio pubblicato su Current Biology ha dimostrato che alcuni importanti circuiti che si innescano nel cervello mentre si dorme si attivano anche durante l’anestesia.
 
“Abbiamo dimostrato che uno degli anestetici più comunemente usati accende i neuroni che promuovono il sonno, e questa non è una coincidenza: i farmaci funzionano perché richiamano alcuni normali circuiti che si innescano nel normale ciclo di sonno/veglia, e questo innesca il meccanismo che porta i pazienti all’incoscienza”, ha detto Max Kelz, tra gli autori dello studio.
In particolare, gli scienziati si sono concentrati sullo studio di una specifica regione del cervello, nell’ipotalamo più profondo, la cui attività aumenta quando ci si addormenta. Con una combinazione di registrazioni dirette dell’attività elettrica e di altri metodi, hanno osservato come l’isoflurano agisce sul cervello dei topi quando li si anestetizza: il farmaco aumenta proprio l’attività di quella regione preposta a promuovere il sonno. E a riprova della connessione, se il medicinale si usa su topi in cui i neuroni che hanno questo scopo non funzionano, questi risultano più resistenti a entrare in stato di anestesia. “La scoperta potrebbe essere utile non solo per comprendere la natura della coscienza umana, ma ha importanti applicazioni anche nel campo dell’anestesiologia, come si può facilmente immaginare”, ha concluso il ricercatore.

27 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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