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Hiv. Dagli Usa la terapia genica che previene l’infezione


Hanno inattivato uno dei geni collegati ai recettori per il virus, e poi ne hanno inseriti altri tre che offrono resistenza all’infezione: così alcuni scienziati statunitensi hanno aumentato la protezione contro l’Hiv di almeno 1200 volte. La ricerca potrebbe arrivare ai trial clinici nel giro di 3-5 anni.

24 GEN - È una sorta di copia-incolla. Solo che invece di farlo su un testo scritto al computer è stato fatto su alcuni geni nei linfociti T, per renderli resistenti all’Hiv. A mettere in pratica questa terapia genica, rendendo le cellule immuni all’infezione e quindi prevenendo la distruzione del sistema immunitario, è stato un team di ricercatori dell’Università di Stanford, del Lucile Packard Children's Hospital e della University of Texas-Austin. Il risultato – che ancora non è stato testato in trial clinici, ma ottenuto solo in laboratorio – è stato presentato su un articolo apparso su Molecular Therapy.
 
La tecnica si basa sull’idea che il virus di solito entra all’interno dei linfociti T allacciandosi a due proteine superficiali, note come CCR5 e CXCR4, tanto che alcune delle terapie di ultima generazione cercano di interferire proprio con l’attività di questi recettori. Per bloccare questo meccanismo, gli scienziati hanno da una parte inattivato il gene collegato a CCR5, e dall’altra aggiunto tre geni che rendevano le cellule capaci di resistere all’attacco del virus, creando così più livelli di protezione.
Per testare l’efficacia della procedura hanno creato versioni di linfociti T con solo uno, due o tutti e tre i geni anti-Hiv. Il risultato è stato che le terapie geniche che prevedevano solo una o due modifiche avevano già qualche effetto protettivo, ma che i tre geni “copia-incollati” insieme producevano risultati straordinari: i linfociti modificati erano 1200 volte più resistenti ai virus che attaccavano il recettore CCR5 e addirittura 1700 volte più protetti da quelli che usavano il recettore CXCR4, mentre quelli non modificati morivano nel giro di 25 giorni.
 
Se si dovesse riuscire a sviluppare una terapia da questa scoperta, tuttavia, non si tratterebbe di una cura per l’Hiv/Aids. “Fornire a una persona sieropositiva dei linfociti T resistenti all’infezione non spazza via il virus che è già presente nelle cellule”, ha commentato Sara Sawyer, co-autrice dello studio. “Ma in ogni caso potrebbe aiutarli a prevenire il collasso immunitario che di solito porta allo sviluppo dell’Aids”.
Chiaramente gli scienziati avranno ora bisogno di ulteriori test per verificare la sicurezza della procedura, dimostrare che l’inserimento di questi geni non innesca meccanismi che potrebbero portare a cancro o altre aberrazioni cellulari, e che le cellule dell’organismo possano sopportare questo cambiamento genetico. Tuttavia, secondo il team che ha condotto lo studio, tutti questi problemi sono aggirabili o risolvibili, tanto che al più presto i ricercatori intendono iniziare i trial preclinici su modello animale e entro 3-5 anni passare a quelli clinici.

24 gennaio 2013
© Riproduzione riservata

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