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Immunodeficiente ma anche autoimmune. Svelato il meccanismo


Si chiama sindrome di Wiskott-Aldrich ed è una rara forma di immunodeficienza che nel 70% dei casi è accompagnata da autoimmunità. Oggi uno studio italiano svela il meccanismo cellulare con cui si verifica fornendo nuove conoscenze utili alla pratica clinica.

20 FEB - La più conosciuta e diffusa forma di immunodeficienza è l’Aids. Tuttavia, non è certo l’unica. Tra le forme più rare di origine genetica c’è anche la sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS), una rara forma che nella stragrande maggioranza dei casi affianca all’immunodeficienza l’autoimmunità. Grazie ad una ricerca italiana del Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologie (Icgeb) di Trieste oggi si sa qualcosa in più rispetto a questa malattia: tra gli effetti c’è anche l’attivazione di un gruppo di cellule responsabili dell’immunità innata. Lo studio che ne parla è stato pubblicato sulla rivista scientifica The Journal of Experimental Medicine.
 
Nei pazienti affetti da questa rara sindrome, il sistema immunitario non è in grado di rispondere in maniera efficiente ad agenti patogeni come virus e batteri. Paradossalmente, però, se l'immunodeficienza è il problema principale per chi è affetto da WAS, si osserva anche la coesistenza del fenomeno opposto, l'autoimmunità: nel 70 per cento dei casi, infatti, i pazienti presentano anche una risposta immunitaria eccessiva nei confronti dei tessuti dell'organismo, che dà origine, per esempio, a malattie della pelle come psoriasi ed eczemi. “È chiaro che in questi bambini il problema principale da risolvere è l'immunodeficienza e i primi risultati della terapia genica che arrivano dall'Istituto San Raffaele-Telethon di Milano sono in questo senso molto incoraggianti”, ha spiegato Federica Benvenuti, a capo del team di ricerca Icgeb. “Nello stesso tempo, però, è importante continuare a chiarire meglio tutte le disfunzioni che avvengono nel loro sistema immunitario. L'autoimmunità è una di queste e nello studio appena pubblicato abbiamo dimostrato un nuovo meccanismo finora inesplorato con cui si verifica. In pratica tra gli effetti del difetto genetico alla base di questa sindrome c'è anche un'esagerata attivazione di un particolare gruppo di cellule responsabili dell'immunità innata, le cellule dendritiche plasmacitoidi, che producono interferone alfa, molecola importante per le risposte antivirali ma che se prodotta in quantità eccessiva provoca appunto fenomeni autoimmuni”.
 
L'aspetto interessante della ricerca è che quanto dimostrato dai ricercatori triestini nel modello animale è stato confermato anche nelle cellule dei pazienti seguiti all'Istituto San Raffaele-Telethon di Milano: “Grazie alla collaborazione del gruppo di Anna Villa – ha continuato Benvenuti –abbiamo avuto la conferma che quello che avevamo osservato in laboratorio aveva un riscontro reale in ambito clinico. D'ora in avanti, inoltre, i nostri colleghi utilizzeranno i nostri risultati per seguire nel tempo i pazienti, anche dopo la terapia genica o il trapianto di midollo osseo, per monitorare l'eventuale insorgenza di fenomeni autoimmuni. Sapere che il nostro lavoro ha non soltanto chiarito un meccanismo di base della patologia, ma ha anche fornito uno strumento ai clinici è una grande soddisfazione che ci spinge ad andare ancora più avanti”.

20 febbraio 2013
© Riproduzione riservata

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