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Hiv. Chi ha il virus sembra non riconoscere le espressioni di paura o felicità


Una conseguenza particolare della presenza del virus, che si affianca ad altri disturbi neurocognitivi come lievi deficit di memoria e attenzione, evidenziabili nel 30-40% dei pazienti. La causa non è chiara, e il problema sembra essere evidenziato solo attraverso test neuropsicologici, non nella vita comune.

28 FEB - Se provi paura o felicità probabilmente una persona sieropositiva non sarà capace di capirlo al primo sguardo. O quantomeno non sa farlo quando viene sottoposta a test specifici. Una scoperta curiosa, quella effettuata da un team di ricercatori dell’Università Cattolica di Roma sul virus dell’Aids: gli scienziati hanno scoperto che il virus dell’Aids compromette la capacità delle persone con Hiv di riconoscere le emozioni sul volto degli altri. Lo studio che ne parla è stato pubblicato sulla rivista open access BMC Psychology e condotto da Eleonora Baldonero, dottoranda presso l’Istituto di Clinica delle Malattie Infettive dell’Università Cattolica di Roma.
 
I ricercatori hanno visto che queste defaillance nel naturale sistema di riconoscimento delle emozioni altrui – importantissima capacità umana che consente di provare empatia, ovvero di mettersi nei panni degli altri e capirne le intenzioni – vanno di pari passo con altri problemi spesso lamentati dai sieropositivi, come i deficit di memoria a breve termine e più generali disturbi cognitivi. Ciò suggerisce dunque anche che esiste una relazione tra la capacità di riconoscere le espressioni facciali e altre abilità cognitive, che dipendono dall’attività di strutture cerebrali complesse come l’amigdala (che è un’area importante per l’emotività, dove nasce ad esempio la sensazione della paura alla base della percezione dei pericoli).
 
Gli esperti hanno confrontato un gruppo di pazienti sieropositivi con un gruppo di soggetti sani di controllo, e osservato che i primi avevano difficoltà a riconoscere la paura “dipinta” sul volto altrui; in genere questa difficoltà, ha spiegato Baldonero, si accompagna a un deficit della memoria a breve termine, segno che le due funzioni sono in qualche maniera correlate. Inoltre, tra i soggetti sieropositivi, quelli che erano cognitivamente più compromessi nella capacità di prendere decisioni e nell’ apprendimento, presentavano una selettiva difficoltà nel riconoscimento dell’emozione “felicità”.“Abbiamo utilizzato un test che consiste nel chiedere ai soggetti coinvolti nella ricerca di riconoscere le emozioni che venivano espresse attraverso il volto di attori in fotografia  (test di Ekman)”, ha poi aggiunto Maria Caterina Silveri, responsabile dell’Ambulatorio Clinica della Memoria – Unità Operativa Day Hospital Geriatria dell’Università Cattolica - Policlinico A. Gemelli di Roma e coordinatrice dello studio. “I nostri risultati hanno indicato che i soggetti Hiv-positivi erano in grado di riconoscere alcune espressioni del volto, ma la maggior parte di loro non riconosceva l’espressione facciale della paura. Questo risultato non trova al momento un’adeguata spiegazione”.
 
“Si può ipotizzare che questo mancato riconoscimentopossa essere legato a tratti personali e psicologici individuali dei soggetti coinvolti nella ricerca, ma la frequenza con cui il fenomeno si osserva nei sieropositivi è troppo elevata per essere riconducibile unicamente al caso. Più verosimile è che si tratti di un’alterazione asintomatica che non si manifesta nella vita quotidiana, ma che emerge soltanto attraverso test specifici. Del resto, una serie di studi in letteratura ha indicato che altri disturbi neurocognitivi (lievi deficit di memoria e attenzione) sono evidenziabili nel 30-40% di soggetti Hiv-positivi solo attraverso test neuropsicologici, non essendo riconosciuti né dal soggetto, né dalle persone che quotidianamente si relazionano con lui”.
 
“L’aspettativa di vita delle persone con Hiv/Aidsè notevolmente aumentata negli ultimi anni grazie alle nuove terapie antiretrovirali, con la conseguente necessità di affrontarealcuni aspetti che riguardano la loro qualità della vita, come le problematiche di tipo neurocomportamentale, che noi abbiamo analizzato nel nostro lavoro per quel che attiene l’emotività”, ha spiegato Baldonero. “Il quesito aperto, a cui oggi non siamo in grado di dare una spiegazione, è se questa alterazione della emotività da noi evidenziata, come pure le alterazioni asintomatiche neurocognitive già note, possano o meno evolvere in forma più evidente di disturbo via via che i soggetti invecchiano.
 
“Il messaggio che ci sentiamo di dare alla comunità scientificaè quello di considerare nei soggetti Hiv-positivi l’opportunità di monitorare sia gli aspetti neurocognitivi sia quelli più propriamente emozionali”, hanno poi concluso le autrici del lavoro.

28 febbraio 2013
© Riproduzione riservata

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