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Apnee notturne. Ecco come la tecnologia può aiutare a riconoscerle e trattarle


Da sole o insieme ad altre patologie possono essere molto rischiose, fino a portare ad esiti letali. Per riconoscere le apnee notturne, e improntare una giusta terapia, arrivano oggi nuovi sensori che possono essere montati su defibrillatori e pacemaker per individuare e diagnosticare i sintomi. Tra questi ApneaScan.

20 MAR - I pazienti e le persone che vivono con una persona che ne soffre sanno che l’Apnea Notturna è una vera e propria patologia, che comprende un insieme di alterazioni respiratorie (apnee e ipopnee) che si verificano durante il sonno provocando, conseguentemente, fenomeni di sonnolenza anche nelle ore diurne. Talvolta, queste stessi disturbi possono anche essere collegati a patologie cardiache e respiratorie che arrivano a mettere a repentaglio la vita dei pazienti. Nella conferenza internazionale Stroke 2012 è stato infatti dimostrato che il 50% dei pazienti colpiti da ictus silente, cioè senza sintomatologie evidenti, soffre anche di apnea notturna, con evidente correlazione fra queste due patologie. I ricercatori hanno altresì evidenziato che il 91% dei pazienti che avevano avuto un ictus durante l’apnea del sonno (51 su 56, con età media intorno a 67 anni) avevano anche maggiore probabilità di subire un ictus silente. Oggi però uno strumento è in grado di riconoscere i segnali e i sintomi dell’apnea notturna, aiutando i medici a riconoscerla e a sviluppare una giusta terapia.
 
 
L’apnea è la cessazione totale del flusso respiratorio per almeno 10 secondi, mentre con il termine ipopnea si considera la riduzione, sempre per 10 secondi, di circa il 50% del flusso respiratorio.
Secondo uno studio condotto nel 2007 dalla World Health Organization, circa 100 milioni di persone nel mondo (9% delle donne e 25% degli uomini), con una età media tra i 30 e i 60 anni. Altri studi recenti hanno evidenziato che la malattia può essere legata a molteplici fattori quali obesità, sesso, età, fumo, alcol, congestioni nasali, ipertensione arteriosa, anatomia della mandibola. A questi si aggiunga l’eventuale “compresenza” di patologie (in particolare, quelle cardiovascolari) che possono aumentare le probabilità di insorgenza della sindrome. È dimostrato, inoltre, che l’Apnea Notturna colpisce circa il 60% dei pazienti che abbiano ricevuto un impianto di defibrillatore o pacemaker. Può succedere, infatti, che l’Apnea Notturna, a causa della scarsità o totale assenza di sintomi evidenti (soprattutto quando si tratti di sindrome di origine centrale “Sleep Apnea Syndrome”),non venga tempestivamente diagnosticata, con conseguenze anche gravi. La concomitanza di patologie cardiache e respiratorie può infatti aumentare i rischi di insufficienza cardiaca, ictus, fibrillazione atriale, ipertensione e aritmie cardiache arrivando, in alcuni casi, alla morte improvvisa.
 
 
In Italia si stima che le persone che soffrono di Apnea Notturna siano circa un milione e seicentomila, buona parte dei quali sofferenti di patologie cardiache e portatori di defibrillatori e pacemaker, una dimensione che ampiamente giustifica la definizione di “malattia sociale”. In proposito, abbiamo interpellato Alessandro Capucci - Clinica di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ospedali Riuniti Le Torrette, Ancona - che di queste tematiche ha ampiamente trattato anche nel recente Congresso di Bologna sulla “Fibrillazione Atriale”. “Le frequenti apnee rendono il sonno scarsamente ristoratore, per cui è facile, per chi ne soffre, avere facili addormentamenti diurni”, ha spiegato. “Fino a poco tempo fa si riteneva che il disturbo colpisse prevalentemente le persone obese. Solo recentemente si è invece valutato il rapporto esistente fra apnee notturne e crisi ipertensive, ictus e aritmie cardiache, anche perché i nuovi sistemi di monitoraggio hanno favorito l’attenzione a questa particolare problematica”.
 
“Dalle apnee notturne - ha proseguito Capucci - sono afflitte maggiormente le persone di sesso maschile; per arrivare a una situazione acuta come, per esempio, l’ictus, la patologia deve infatti trovare un substrato favorevole e questo è più frequente negli uomini che sono più soggetti a malattie cardiovascolari a causa di equilibri ormonali, stili di vita,ecc.”.  Ma che fare, allora, per affrontare efficacemente l’apnea notturna? Per il Professor Capucci, una volta diagnosticate apnee notturne di tipo patologico, il primo modo di fronteggiarle è quello di effettuare la ventilazione notturna con apposito apparecchio (CPAP); bisogna però valutare la presenza di alterazioni di parti delle prime vie respiratorie, trattando le quali si può arrivare anche ad affrontare la specifica apnea.
 
La patologia è seria e diffusa. Un aiuto concreto può venire, oggi, dalle innovazioni tecnologiche. I dispositivi di ultima generazione destinati ai cardiopatici, come per esempio i defibrillatori, pacemaker e device per re-sincronizzazione cardiaca di Boston Scientific, sono predisposti anche per individuare e diagnosticare i sintomi dell’Apnea Notturna. Questa funzione aggiuntiva, definita ApneaScanTM, è resa possibile grazie a un sensore respiratorio di cui sono dotati i nuovi dispositivi. Un apposito algoritmo allerta il medico sulle disfunzioni respiratorie e può orientarlo, di conseguenza, a richiedere esami diagnostici approfonditi per l’apnea notturna (es.polisonnografia). Laddove la diagnosi sia confermata, possono essere adottate terapie appropriate per ridurre le conseguenze cardiovascolari e respiratorie, garantire al paziente una migliore qualità di vita e ridurre  - aspetto non marginale  - i costi sanitari generati da queste patologie.
Rispetto alle nuove tecnologie, il Professor Capucci si è così espresso: “I device di ultima generazione consentono di monitorare le fasi del sonno e, nel contempo, di inviare le informazioni direttamente al Centro Medico di riferimento per via telematica, con la possibilità di diagnosticare anche forme di aritmie asintomatiche ma severe, il che permette di intervenire prima che insorgano complicanze per la  salute dei pazienti. E’ però importante che delle nuove tecnologie vengano messi a conoscenza non solo gli specialisti, ma tutti i medici, così da rendere possibile il pieno sfruttamento delle grandi capacità diagnostiche e implicazioni prognostiche delle nuove apparecchiature”

20 marzo 2013
© Riproduzione riservata

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