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Hiv. Ottimismo su un vaccino capace di neutralizzare il 55% dei ceppi noti


Per la prima volta è stata mappata non solo l’evoluzione dell’anticorpo, ma anche quella del virus, grazie allo studio dei primi stadi di infezione su un paziente capace di produrre anticorpi altamente neutralizzanti. La ricerca potrebbe aver svelato le “istruzioni” per costruire un vaccino efficace.

11 APR - Se si potesse riconoscere l’infezione più tempestivamente e tracciare subito la risposta immunitaria e la conseguente evoluzione del virus, sviluppare un vaccino per l’Hiv forse sarebbe più semplice. Proprio da questo presupposto sono partiti alcuni scienziati della Duke University, che in uno studio su Nature hanno descritto nuove informazioni rispetto all’evoluzione virale e a quella della risposta immunitaria, che forse potranno portare allo sviluppo di un vaccino per questo virus che infetta 34 milioni di persone nel mondo e che dalla sua scoperta trent’anni fa ne ha già uccise oltre 30 milioni.
Alla ricerca hanno collaborato anche ricercatori della Boston University, di Stanford, della Columbia, dell’Università della North Carolina, e dell’Università della Pennsylvania.
 
La maggior parte dei vaccini funziona inducendo la risposta immunitaria degli anticorpi. Ma il virus dell’Hiv ha riesce ad eludere questo meccanismo, ed ha più volte provato di non essere un target facile per l’immunizzazione: quando gli anticorpi per il virus vengono prodotti, hanno tipicamente un range di efficacia piuttosto limitato, poiché l’Hiv “cambia forma” molto rapidamente, tanto che presto questo meccanismo di risposta non funziona più.  “Per la prima volta non abbiamo mappato solo il pathway di evoluzione dell’anticorpo, ma anche quello del virus”, ha spiegato Barton F. Haynes, direttore dello Human Vaccine Institute della Duke. “In questo modo abbiamo definito la sequenza di eventi grazie alla quale alcuni pazienti sono capaci autonomamente di resistere alla malattia nei primi anni di contagio”.
 
La base di partenza della ricerca è lo studio di un caso di un paziente africano, nel quale l’infezione è stata rilevata così presto che il virus non era ancora mutato per evitare l’assalto delle difese dell’organismo: questa persona aveva, inoltre, anche quel tratto genetico fortuito, presente in circa il 20% delle persone sieropositive, per le quali gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario sono “ampiamente neutralizzanti”, ovvero impediscono direttamente l’entrata del virus nelle cellule aggrappandosi ai recettori del virus, le proteine presenti su tutta la loro superficie che servono per attaccarsi alle cellule. Questi anticorpi agiscono per i primi 2-4 anni (poi vengono inevitabilmente sconfitte dal virus) su parti del patogeno che si conservano nonostante le mutazioni cui l’Hiv si sottopone per resistere all’attacco immunitario, e sono dunque efficaci su diversi ceppi del virus, fino al 55% di tutti quelli noti.
 
Nell’identificare l’infezione virale allo stadio iniziale, la squadra ha potuto studiare la glicoproteina virale di superficie capace di innescare lo sviluppo degli anticorpi ampiamente neutralizzanti. In seguito, tracciando gli eventi evolutivi sia del virus che degli anticorpi, gli scienziati sono riusciti così a ricostruire le istruzioni per lo sviluppo di un vaccino fatto in modo da sviluppare direttamente la produzione di anticorpi ampiamente neutralizzanti. “Il prossimo passo è capire se da queste istruzioni possiamo ricavare effettivamente un vaccino e testarlo”, ha spiegato Haynes. Tuttavia, ha specificato, “si tratta di un processo di scoperta in divenire, quindi c’è ancora molta strada da fare”.

11 aprile 2013
© Riproduzione riservata

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