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Tumore dell’ovaio: meno recidive con bevacizumab


I risultati preliminari confermano che il farmaco antiangiogenico consente di ritardare notevolmente la recidiva. “È una svolta importante nel trattamento di una malattia che negli ultimi anni non ha offerto nuove opzioni terapeutiche”.

12 OTT - Il tumore dell’ovaio colpisce ogni anno in Italia circa 4500 donne e provoca 3000 decessi. Uno dei problemi più importanti nel trattare questa patologia non è la risposta iniziale alla chemioterapia, ma il fatto che per la maggior parte delle pazienti il tumore si ripresenta dopo un certo periodo di tempo, nella maggior parte dei casi entro 15 mesi dalla diagnosi iniziale.Ora, da uno studio presentato nel corso del congresso dell’European Society fon Medical Oncology in corso a Milano arriva una buona notizia: bevacizumab, un farmaco biologico che agisce inibendo l’angiogenesi, ha infatti dimostrato, a un anno, di aumentare del 15% la probabilità di stabilizzare la patologia.
Lo studio (denominato ICON7) ha coinvolto 1528 donne, suddivise in due gruppi: al primo è stato somministrato il trattamento standard, al secondo la chemioterapia tradizionale associandola a bevacizumab. Quelli presentati nel corso del congresso Esmo sono risultati preliminari, ma quelli definitivi - che saranno disponibili tra due anni - non dovrebbero smentirli. I dati appena presentati confermano infatti i risultati positivi già evidenziati dal trial GOG 0218 presentato lo scorso giugno al Congresso americano di oncologia medica (ASCO) che aveva dimostrato la capacità di bevacizumab di ritardare la recidiva di mesi rispetto alle pazienti trattate con sola chemioterapia.“Si tratta di una svolta importante nel trattamento di una malattia che negli ultimi anni non ha offerto nuove opzioni terapeutiche”, ha spiegato Sandro Pignata dell’Istituto Tumori Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli . “In questa forma di cancro la diagnosi precoce è difficile perché non vi sono sintomi che la permettano. Con la conseguenza che nell’80% dei casi il tumore viene scoperto solo quando è già in fase avanzata”.
Ora, ha aggiunto Pignata, “siamo riusciti a cronicizzare la malattia”.
Importante, però, resta la prevenzione: “Attenzione allo stile di vita, seguendo un’alimentazione corretta ed evitando il fumo di sigaretta”, ha affermato Marco Venturini, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). “Sappiamo inoltre che le donne con una parente di primo grado colpita da carcinoma ovarico hanno un rischio più elevato di svilupparlo. Si tratta di tumori causati da mutazioni genetiche ereditarie. E oggi sono disponibili test per accertare queste alterazioni”.  

12 ottobre 2010
© Riproduzione riservata

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