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Cancro del Fegato. Bruciare con un ago le cellule malate


Sandro Rossi, presidente della ‘Fondazione cura mini-invasiva tumori’: “Questa tecnica ha un costo inferiore rispetto alla chirurgia tradizionale. Con meno complicanze. Non bastano Tac o risonanze". Dalla ricerca genetica la chiave per una prognosi certa

23 GIU - Senza tagli sulla pelle e in anestesia locale oggi è possibile bruciare il tumore del fegato. Si chiama termoablazione a radiofrequenza e permette di eliminare le cellule malate in 15 minuti, con meno rischi e complicanze per i pazienti rispetto alla chirurgia tradizionale (che richiede di solito almeno 2 ore). Ogni anno in Italia circa 1500 persone sono operate con questa tecnica. Anche i costi a carico del servizio sanitario si riducono sensibilmente: un intervento di questo tipo, che richiede una degenza di soli 3 giorni e talvolta può essere eseguito in regime ambulatoriale, implica un esborso nettamente inferiore rispetto a quello della chirurgia resettiva. E un ulteriore vantaggio, sia per i pazienti che per il sistema, deriverebbe dalla possibilità di capire, prima dell’intervento, come evolverà la neoplasia.

“Per questo - ha spiegato Sandro Rossi, presidente della ‘Fondazione cura mini-invasiva tumori’ - abbiamo avviato uno studio per identificare i marcatori genetici associati alla crescita neoplastica. È la prima ricerca in Italia di questo tipo. Risultati positivi consentirebbero una prognosi più precisa e più appropriate scelte terapeutiche. Il lavoro che stiamo conducendo è accuratissimo ed enorme: in 30 pazienti abbiamo raccolto più di 200 campioni di tessuto da sottoporre a sequenziamento genico e ad analisi bioinformatica. La ricerca si concluderà alla fine di quest’anno ed è realizzata grazie al contributo liberale dei cittadini e della Fondazione Cariplo”.

Il tumore del fegato nel 2012 in Italia ha fatto registrare 12.800 nuove diagnosi ed è al terzo posto per mortalità nella fascia di età compresa fra i 50 e i 69 anni. In oltre il 90% dei casi insorge in persone colpite da cirrosi epatica. “Le classificazioni utilizzate finora - ha continuato Rossi - falliscono nel predire la storia clinica di un paziente cirrotico dopo l’asportazione chirurgica del tumore o la termoablazione. Le indagini attualmente a disposizione, come ecografia, Tac, risonanza magnetica ed analisi istologica, non sono sufficienti. Questa situazione ha un impatto negativo sul malato perché può portare, anche nei migliori centri, a terapie inappropriate. È cioè inutile trattare con la chirurgia tradizionale o con la termoablazione un tumore, anche piccolo, in un paziente che svilupperà entro poco tempo una malattia neoplastica multifocale associata a una prognosi infausta. È quindi importante individuare, con ricerche genetiche e molecolari, altri fattori associati al tipo di crescita del tumore per capirne l’evoluzione. Vogliamo sapere se l’andamento della malattia sarà lento nel tempo, con lo sviluppo di recidive nodulari che possono essere trattate con termoablazione o con la chirurgia tradizionale, oppure se avrà una rapida evoluzione multifocale, caso in cui l’unica possibilità di trattamento è rappresentata dal trapianto d’organo”.

La “Fondazione cura mini-invasiva tumori” è nata nel 2009 con l’obiettivo di promuovere progetti di studio nella cura delle neoplasie. “Siamo partiti dalla nostra esperienza ventennale nel campo delle terapie mini-invasive utilizzate per il trattamento dei tumori primitivi del fegato - ha sottolineato Rossi - Molta strada infatti è stata percorsa dal 1989, anno in cui per la prima volta al mondo, proprio in Italia, abbiamo sperimentato la termoablazione a radiofrequenza su un paziente colpito da carcinoma del fegato. L’idea che ha ispirato questa tecnica è semplice: distruggere il tumore senza danneggiare il tessuto sano circostante. È possibile raggiungere questo risultato inserendo per via percutanea la punta di un ago-elettrodo all’interno del tumore. Quando viene attivato il generatore a radiofrequenza connesso all’ago-elettrodo, attorno alla sua punta si sviluppa un campo elettromagnetico. Si crea pertanto una ‘sfera di calore’ che determina la morte del tessuto malato”. Oggi, nel nostro Paese, sono circa 30 i centri in grado di praticare questo tipo di trattamento, che è indicato dalle linee guida internazionali, insieme alla chirurgia resettiva tradizionale, come opzione terapeutica per i tumori epatici. “
 
Come dimostrato da uno studio pubblicato su ‘Hepatology’ nel 2011 - ha concluso - non vi è alcuna differenza in termini di efficacia e recidive tra i due tipi di intervento”. La termoablazione a radiofrequenza è applicata anche in altri tipi di cancro, ad esempio in quello del polmone, del rene e del pancreas, ma non vi sono ancora chiare evidenze scientifiche che la raccomandino in questi casi.  

23 giugno 2013
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