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Mielofibrosi. Ruxolitinib migliora la sopravvivenza e riduce le dimensioni della milza


Un’analisi separata esplorativa a lungo termine presentata al 18° Convegno della Associazione Europea di Ematologia (EHA) a Stoccolma dimostra come il farmaco sia in grado di rallentare o stabilizzare uno dei meccanismi alla base della mielofibrosi primaria e delle sue conseguenze.

27 GIU - Ruxolitinib, inibitore orale delle tirosin chinasi JAK 1 e JAK 2 approvato dalla Commissione Europea nel mese di agosto 2012 per il trattamento della splenomegalia in pazienti adulti con mielofibrosi primaria, è in grado di migliorare la sopravvivenza globale e determinare riduzioni durature delle dimensioni della milza rispetto alla terapia tradizionale. A dirlo è un’analisi separata esplorativa a lungo termine presentata al 18° Convegno della Associazione Europea di Ematologia   (EHA) a Stoccolma: in essa ruxolitinib ha rallentato o stabilizzato la progressione della fibrosi del midollo osseo, uno dei meccanismi alla base della malattia e delle sue conseguenze, effetto che non è stato osservato con la terapia tradizionale nei pazienti affetti da mielofibrosi in fase avanzata.
 
La mielofibrosi è un cancro del sangue che mette in pericolo di vita ed ha una prognosi infausta.  Le opzioni terapeutiche per questa patologia sono limitate. Gli studi mostrano che i pazienti con mielofibrosi presentano una riduzione dell’aspettativa di vita, con una sopravvivenza globale mediana di 5,7 anni. Sebbene il trapianto di cellule staminali allogenico possa curare la mielofibrosi, la procedura è associata a significativa morbilità e mortalità correlata al trapianto. Inoltre, è disponibile per meno del 5% dei pazienti che sono sufficientemente giovani ed in condizioni sufficientemente buone per sottoporsi alla procedura.
La malattia si sviluppa quando segnali incontrollati nella via di trasduzione della proteina JAK – che regola la produzione delle cellule del sangue – inducono il corpo a produrre globuli del sangue che non funzionano bene e danneggiano il midollo osseo con formazione di cicatrici fibrose.  Questo determina un aumento delle dimensioni della milza ed altre complicazioni gravi. Ruxolitinib agisce direttamente sul meccanismo alla base della malattia, riducendo significativamente le dimensioni della milza e migliorando i sintomi indipendentemente dallo status genetico (mutazioni a carico di JAK), dal sottotipo della malattia o dal tipo di terapia precedente. “Ruxolitinib è il primo farmaco che permette di conseguire un miglioramento della sopravvivenza globale in pazienti con mielofibrosi in fase avanzata,” ha detto Alessandro M. Vannucchi, del Reparto di Ematologia dell’Università di Firenze e principale autore dello studio. “Siamo inoltre ulteriormente incoraggiati dagli ultimi risultati dello studio, che forniscono un nuovo supporto a sostegno del fatto che gli effetti rapidi e positivi di ruxolitinib nel migliorare la sintomatologia dei pazienti siano sostenuti nel lungo termine.”
 
Nell’analisi dei dati relativi al follow-up a tre anni dello studio COMFORT-II,i pazienti trattati con ruxolitinib hanno infatti ottenuto un vantaggio per quanto riguarda la sopravvivenza globale rispetto ai pazienti che avevano ricevuto la terapia tradizionale.  È stata osservata una riduzione del rischio di morte del 52% nel braccio ruxolitinib rispetto alla terapia tradizionale (HR=0,48; IC al 95%, 0,28-0,85; p=0,009) e la probabilità stimata di sopravvivenza globale era significativamente maggiore con ruxolitinib rispetto alla terapia tradizionale (rispettivamente 81% rispetto al 61%) a 144 settimane. Inoltre, il 51,4% dei pazienti trattati con ruxolitinib ha conseguito una riduzione ≥35% delle dimensioni della milza rispetto ai valori basali. I pazienti continuano a mantenere la risposta splenica, con una riduzione mediana delle dimensioni della milza non ancora raggiunta nello studio.  Complessivamente 191 pazienti sono stati esposti a ruxolitinib entro la data di cut-off, 146 pazienti sono stati inizialmente randomizzati al trattamento con ruxolitinib e 45 pazienti  sono  passati a ruxolitinib dopo essere stati inizialmente assegnati al braccio con la terapia tradizionale. Le sospensioni del trattamento nel braccio ruxolitinib sono state principalmente dovute ad AE (16,4%) ed alla progressione della malattia  (15,1%), mentre le sospensioni nel braccio che riceveva la terapia tradizionale erano principalmente dovute al ritiro del consenso ed ad altri motivi (ciascuno 12,3%). Solo due dei pazienti hanno sospeso a causa di anemia (1%) e sette pazienti a causa di trombocitopenia (3,6%).
I risultati sono in linea con i precedenti risultati dello studio COMFORT-II nonché con quelli dello studio COMFORT-I, che dimostravano che ruxolitinib fornisce benefici clinici significativi rispetto alla terapia tradizionale ed al placebo in pazienti affetti da mielofibrosi, una rara forma di cancro del sangue.
 
Sono stati presentati i dati di un’analisi esplorativa della morfologia del midollo osseo,provenienti da una sperimentazione separata di fase I/II con ruxolitinib rispetto a controlli storici di pazienti trattati con terapia tradizionale. Dopo quattro anni di trattamento con ruxolitinib, la fibrosi del midollo osseo è migliorata nel 22% dei pazienti e si è stabilizzato nel 56% dei pazienti affetti da mielofibrosi. Un effetto sovrapponibile non è stato osservato con la terapia tradizionale a lungo termine. “Per la prima volta sono state conseguite evidenze a favore di una stabilizzazione o un miglioramento della fibrosi a carico del midollo osseo con una terapia farmacologica  nella mielofibrosi in fase avanzata, ad ulteriore supporto della possibilità che ruxolitinib possa modificare la storia naturale della malattia”, hanno fatto sapere da Novartis Oncology. “Questi dati sono di grande interesse, perché il trapianto di midollo osseo, che è gravato da un elevato rischio di morbilità e mortalità, è l’unica ulteriore opzione con efficacia documentata sulla fibrosi del midollo osseo nei pazienti con mielofibrosi in fase avanzata.”

27 giugno 2013
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