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Obesità. Nei batteri intestinali dei magri il segreto per mantenere la linea


Se seguono una dieta sana, con il giusto quantitativo di fibre e di grassi saturi, i topi obesi che vengono a contatto con i batteri provenienti da esseri umani magri migliorano il loro metabolismo e dimagriscono. Lo dice uno studio su Science: la caratteristica della magrezza risulta “trasferibile” insieme al microbiota intestinale.

11 SET - Il segreto della magrezza si trova nella flora intestinale. Tanto che sono proprio dei microbi che si trovano nell'organismo umano che possono fare la differenza tra chi ingrassa e chi non lo fa. A dirlo è una ricerca della Washington University's School of Medicine appena pubblicata su Science: se si trasferiscono i batteri presenti nelle viscere di persone obese nell'intestino di topi che non hanno flora batterica, questi ingrasseranno e accumuleranno più peso, rispetto a quelli cui vengono donati i germi di persone magre.

In realtà non è questa la prima volta che si dimostra l'importanza della flora intestinale per la salute dell'organismo, ma di sicuro è il primo studio a dimostrare che i microbi che si trovano nell'intestino possano essere direttamente legati a tratti di obesità o magrezza. E non solo, è il primo che prova a dare un nome ai microrganismi che hanno un ruolo più importante, e a svelare in che modo agiscono e in quali cibi si trovano: si tratta del genere di batteri chiamato Bacteroidetes, che sembrano arricchire il microbiota di alcuni indivui magri, e che sembrano avere per loro anche un ruolo protettivo contro l'accumulo di grasso nei topi sottoposti ad alcuni regimi alimentari.
Per fare questa scoperta, gli scienziati statunitensi hanno studiato la flora intestinale di coppie di gemelli in cui uno fosse magro e l'altro peso. Hanno poi prelevato il microbiota da ciascuno dei due fratelli, e lo hanno trapiantato in topi che erano stati privati della propria flora intestinale e cresciuti in ambiente sterile, in modo che non avessero microrganismi propri nell'intestino. E così si sono accorti che i topi che avevano ricevuto i batteri provenienti dal gemello grasso tendevano – con una dieta normale – a diventare più grassi rispetto agli altri. “Era impossibile attribuire questa differenza a differenze nel regime alimentare, uguale per tutti i roditori, e dunque ci si è resi conto che era il microbiota stesso a fare la differenza”, ha spiegato Jeffrey Gordon, direttore del Center for Genome Sciences and Systems Biology nell'ateneo statunitense.

Secondo gli scienziati il merito è di alcuni batteri in particolare: se messi nella stessa gabbia dei topi più magri, dopo appena dieci giorni i topi obesi acquisivano dai primi le caratteristiche metaboliche, dimagrendo, ma non succedeva il contrario. Questo, stando a quanto riportato nello studio, sarebbe dovuto al passaggio dai roditori più magri a quelli grassi di batteri del phylum Bacteroidetes.
A quel punto però gli scienziati si sono chiesti perché il tratto della magrezza non si diffondesse allo stesso modo anche tra gli esseri umani. “Ci siamo chiesti perché negli Stati Uniti non c'è un'epidemia di magrezza”, ha commentato ironicamente Gordon. Colpa della dieta, secondo il team di ricerca. “Abbiamo così cercato di capire in che modo influisse la dieta: abbiamo dato ad alcuni topi una dieta ricca in fibre e povera di grassi saturi, e agli altri una dieta povera in fibre ma ricca di grassi. Così facendo ci siamo accorti che per i primi c'era ancora il passaggio dei batteri “buoni” dai topi magri a quelli grassi, nel secondo caso invece non accadeva”. Insomma, anche la dieta aveva il suo peso: se non era sana i topi obesi non dimagrivano a prescindere dal microbiota intestinale.

Questa scoperta, precisano gli autori, potrebbe essere un passo fondamentale verso lo sviluppo di terapie personalizzate a base di cibo probiotico, per prevenire o curare l'obesità. “Ma prima dobbiamo comprendere meglio le interazioni complesse tra flora intestinale e regime alimentare”, ha concluso Gordon. “Tuttavia, sicuramente la ricerca ci dice che il microbiota ha un impatto importantissimo sul valore nutrizionale del cibo che ingeriamo”.

Laura Berardi

11 settembre 2013
© Riproduzione riservata

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