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"Caso Zamboni". Federico (SIN): “Sperimentazione? Prima verifichiamo il nesso tra CCSVI e sclerosi multipla”


Intervista ad Antonio Federico, presidente della Società Italiana di Neurologia che commenta l'annunciato avvio della sperimentazione in Emilia Romagna: “se ci sono dei soldi pubblici da investire, siccome la coperta è stretta, bisogna procedere con ordine". "E invece si è talmente presi dalla voglia di risolvere il problema che si salta un passaggio cruciale”.
 

29 OTT - “Riteniamo che prima di procedere a sperimentazioni cliniche sulla efficacia e sicurezza della dilatazione venosa mediante angioplastica in pazienti con sclerosi multipla, si debba dimostrare che esistano per lo meno correlazioni epidemiologicamente significative tra CCSVI e sclerosi multipla in quanto in caso contrario si esporrebbero i pazienti ai rischi della procedura terapeutica senza alcuna ragione”.
Questa la posizione ufficiale che ha chiuso il Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia.
Il riferimento è al “caso Zamboni” su cui i neurologi riuniti a Catania dal 23 al 27 ottobre non potevano non dire la loro. “Il susseguirsi incalzante di notizie riguardanti le relazioni potenziali tra alterazioni strutturali dei vasi venosi del collo deputati al circolo refluo dal cervello e dal midollo spinale e la sclerosi multipla, nonché la possibile efficacia e sicurezza di procedure terapeutiche atte a rimuovere tali alterazioni, ci costringe ad alcune considerazioni e prese di posizione a difesa della salute dei pazienti”, ha affermato il presidente SIN Antonio Federico.
In filigrana, però, lo statement degli specialisti sembra contenere un messaggio sul trial promosso dalla Regione Emilia Romagna che nei prossimi mesi verificherà l’efficacia del metodo Zamboni.
In sostanza - sembra di intendere - i neurologi disapprovano che venga valutata la validità di un intervento terapeutico senza aver prima stabilito la correttezza della teoria su cui si fonda.
“Non di disapprovazione si tratta”, ha spiegato il presidente SIN Antonio Federico a Quotidiano Sanità. “Riteniamo che sia utile prima capire se esiste una correlazione tra CCSVI e sclerosi multipla e poi, una volta che si è stabilito questo nesso, verificare l’efficacia dell’intervento terapeutico. A oggi non sappiamo esattamente qual è l’incidenza di questa malformazione nei pazienti con sclerosi, né in quelli affetti da altre patologie neurologiche, né nelle persone sane”.
Insomma, dalla SIN, c’è un invito al rigore scientifico. Anche perché, aggiunge Federico a proposito del trial emiliano, “se ci sono dei soldi pubblici da investire, siccome la coperta è stretta, bisogna procedere con ordine”. Invece, “si è talmente presi dalla voglia di risolvere il problema che si salta un passaggio cruciale”.
Un passaggio che dovrebbe stabilire la plausibilità scientifica dell’intervento, senza il quale, come precisava il comunicato di chiusura del Congresso, “si esporrebbero i pazienti ai rischi della procedura terapeutica senza alcuna ragione”.
“Un comitato etico può approvare una cosa del genere?”, si chiede Federico che, intanto, fa sapere che, per la sperimentazione, “la Società italiana di neurologia non è stata ufficialmente chiamata, anche se sono stati invitati alcuni centri neurologici”.
Il trial potrebbe quindi partire senza la partecipazione di una componente importante della comunità scientifica, la Sin, che intanto è impegnata però in uno studio multicentrico nazionale - promosso da AISM e FISM - che valuterà circa 2000 soggetti, 1000 dei quali affetti da sclerosi.
La sperimentazione è partita da circa un mese e ha l’obiettivo di ricostruire il tassello della discordia in questa vicenda: cioè se la CCSVI sia più frequente nei malati di sclerosi multipla rispetto alla popolazione sana. I risultati non stabiliranno comunque un nesso causale tra le due patologie, ma potrebbero costituire un primo argomento di dialogo.
 
Antonino Michienzi 
 
 
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29 ottobre 2010
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