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Cancro al colon. Nuove prospettive terapeutiche dall'ormone tiroideo


Coinvolto in numerosi processi biologici in tutte le cellule dell’uomo, generalmente l’ormone tiroideo si oppone alla proliferazione delle cellule sia cattive che buone. Secondo ricercatori italiani della Federico II di Napoli si potrebbe sfruttare questa capacità in campo oncologico, grazie all'inibizione del suo inattivatore.

14 OTT - È dalla ricerca di base italiana che potrebbero arrivare nuove prospettive terapeutiche per il cancro al colon: uno studio in fase pre-clinica, realizzato presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli e pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale, “Gastroenterology”, è infatti stata individuata una relazione tra l’azione dell'ormone tiroideo ed il cancro al colon ed è stato identificato un enzima che potrebbe rappresentare il nuovo bersaglio terapeutico per impedire la crescita tumorale.
 
L’ormone tiroideo è coinvolto in numerosi processi biologici in tutte le cellule dell’uomo. Generalmente, l’ormone tiroideo si oppone alla proliferazione delle cellule sia cattive che buone. Esercita, quindi, una funzione che si potrebbe definire “anti-proliferativa”. Le concentrazioni circolanti dell’ormone tiroideo sono regolate, a livello di ciascuna cellula dell’organismo, dall’azione di tre diversi enzimi: le desiodasi. Mentre le desiodasi 1 e 2 contribuiscono in maniera sostanziale alla produzione dell’ormone tiroideo, la desiodasi di tipo 3 ne rappresenta il principale inattivatore fisiologico, vale a dire che distrugge l’ormone tiroideo.
“Il gruppo di ricerca ha evidenziato che nella maggior parte dei tumori umani del colon, soprattutto nelle prime fasi della trasformazione tumorale, vi è un’elevata presenza della desiodasi di tipo 3 che a sua volta, riduce localmente l’ormone tiroideo”, ha detto Domenico Salvatore, Professore Associato di Endocrinologia dell’Ateneo Federiciano e dirigente medico del DAI di Gastroenterologia, Endocrinologia, Chirurgia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. “Se si blocca l’azione di questa proteina, si riducono le capacità proliferative delle cellule tumorali in vitro ed anche in modelli murini, vale a dire nei topi di laboratorio, le cellule tumorali non sono in grado di replicarsi”.

In sintesi, la desiodasi di tipo 3 può essere considerata un nuovo marker tumorale coinvolto nello sviluppo del tumore al colon – uno dei big killer oncologici, un tumore aggressivo che insieme al cancro al polmone, alla mammella, alla prostata e al cervello ha maggiore tasso di mortalità. In un prossimo futuro, questo enzima potrebbe rappresentare un possibile obiettivo terapeutico. “Si può ipotizzare che inibendo la desiodasi di tipo 3 nel tumore, ne venga impedita la crescita”, ha continuato Salvatore. “Questa proteina rappresenta, quindi, un possibile bersaglio molecolare di eventuali farmaci che, al momento non ancora presenti sul mercato, distruggendola o bloccandola, possano arrestare la crescita tumorale”.
 

14 ottobre 2013
© Riproduzione riservata

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