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“Riprogrammare” i geni del cuore contro lo scompenso cardiaco, si può?


Per il cardiologo Roger Foo della University of Cambridge e del Cardiovascular Research Institute and Genome Institute di Singapore, i risultati di studi e di esperimenti di laboratorio, presentati nei giorni scorsi a Firenze e Roma, fanno ben sperare.

28 OTT - “Riprogrammare” i geni del cuore, che a causa di stress determinati da altre patologie cominciano a funzionare in modo differente, e combattere lo scompenso cardiaco, una delle principali cause di mortalità in Occidente.
Per il momento è solo un’ipotesi, ma per il cardiologo Roger Foo, della University of Cambridge e del Cardiovascular Research Institute and Genome Institute di Singapore, potrebbe anche diventare realtà, almeno a giudicare dagli studi e dai risultati di esperimenti di laboratorio che fanno ben sperare. Studi illustrati dall’esperto in occasione di due lezioni italiane promosse, a Roma e Firenze nei giorni scorsi, dalla Fondazione Sigma-Tau e che presto, potrebbero portare anche ad una collaborazione con l’Università la Sapienza di Roma.
 
“Il cuore può essere sottoposto a diversi stress dovuti a differenti patologie – ha spiegato Foo – che vanno dal diabete all’ipertensione. Circostanze alle quali cerca di ‘adattarsi’ per rispondere ai diversi danni. Ma in questo processo di adattamento si determina una modificazione dell’espressione dei geni dell’organo cardiaco, pur non venendosi a determinare una variazione nella sequenza del Dna. Proprio questo diverso funzionamento dei geni, è la nostra ipotesi, può a sua volta determinare un danno e portare a scompenso cardiaco”.
L’obiettivo dunque, secondo Foo è quello di arrivare a riportare i geni “programmati” alla loro attività normale, ossia a “riprogrammarli”, per prevenire il malfunzionamento del cuore.
 
In particolare, Foo ha approfondito le sue ricerche in quella “fascia grigia” che sta tra le caratteristiche genetiche della cellula e la sua espressione fenotipica, cioè quelle caratteristiche peculiari che ogni cellula ha. E lo ha fatto attraverso una valutazione puntuale delle varie modificazioni epigenetiche – susseguenti lo scompenso cardiaco ed essenzialmente basate sui meccanismi della metilazione e dell’ossidazione – che agiscono in ogni momento nel nostro organismo e che fanno sì che la trascrizione di quanto contenuto nel Dna non sia mai uguale a se stessa.
 
“La natura di questi studi ha un’importanza assai elevata – ha detto Gianfranco Gensini, Preside della Facoltà di medicina e chirurgia, Università degli Studi di Firenze – poiché queste stesse variazioni sono in grado di indurre l’insufficienza cardiaca e di accentuarsi per effetto dello scompenso cardiaco. Ma, in particolare, l’interesse di questo contributo scientifico è quello di rappresentare un punto d’incontro tra una competenza molto avanzata sul piano biogenetico e l’insieme di casistiche cliniche che consentono, attraverso il passaggio di evidenza sperimentale nei modelli animali, di studiare questi stessi elementi nei pazienti. Ad esempio, si può pensare di riuscire a interferire con queste variazioni epigenetiche reindirizzandole verso variazioni che siano vantaggiose ai fini della funzione cardiaca, da un punto di vista terapeutico. In breve, e in un futuro già alle porte, potrebbe esser possibile una ri-programmazione delle cellule cardiache - o meglio, un’azione che possa consentire una trascrizione diversa, favorevole per il paziente colpito da scompenso cardiaco”.
 
“Capire quali siano gli effetti del danno e i meccanismi di ri-programmazione cellulare diventa fondamentale per intervenire nella storia naturale o progressione dell’insufficienza cardiaca e riportare nella norma ciò che si era “ri-sprogrammato” in base ad un danno primitivo” ha detto Francesco Fedele, Direttore della 1a Cattedra di cardiologia Facoltà di medicina, Università di Roma La Sapienza. “In questo senso – ha aggiunto – credo che abbia una prospettiva senz’altro concreta l’uso delle cellule staminali, che abbiamo anche nel cuore, ai fini di incrementare gli effetti riparativi e dunque terapeutici. Usando una metafora informatica, capire tutto questo significa gettare una luce su quali sono i software in uso nelle cellule cardiache senza intervenire sull’hardware del cuore-computer”.
 
In merito ai tempi di realizzazione di tutto questo, “siamo sicuramente avanti”, ha ricordato Fedele, disponendo già di “consolidati modelli di studio epigenetico in sperimentazione animale”: “I laboratori di ricerca che collaborano con l’Università di Roma Sapienza stanno iniziando ad applicare queste tecnologie epigenomiche anche su tessuto umano tratto da biopsie, a fini terapeutici prossimi a venire. Si dà così un’ulteriore risposta a quella che è da considerare l’epidemia mondiale dei nostri anni nell’ambito delle malattie non trasmissibili: l’epidemia da insufficienza cardiaca che, solo in Italia, colpisce milioni di individui”.
 
Oggi, per esempio, possiamo affermare che non si muore più di infarto acuto grazie alle tecniche di angioplastica, di ri-vascolarizzazione immediata, ma sappiamo anche che i pazienti salvati da infarto poi sviluppano insufficienza cardiaca. Conoscere i meccanismi di riprogrammazione cellulare a fronte di insufficienza cardiaca rappresenta pertanto un passo avanti di enorme importanza ai fini di non consentire all’insufficienza di divenire irreversibile e dunque morire”.
 

28 ottobre 2013
© Riproduzione riservata

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