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Aids. Intervista a Giuseppe Ippolito (Spallanzani): “Il vero rischio oggi è per i giovani uomini che fanno sesso con altri uomini”

di C.F.

Il fenomeno riguarda anche l’Italia. Il direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive lancia l’allarme. “La guardia si è abbassata perché si pensa che i farmaci guariscano dalla malattia. Ma non è così”. Preservativo e test le due armi per fermare la crescita dei contagi. E poi c'è il problema dei costi del trattamento sempre più elevati

01 DIC - Giuseppe Ippolito è dal 1998 il direttore scientifico dell’Istituto nazionale per la malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”. Un’esperienza straordinaria sul campo delle terapie e dell’assistenza e sulla ricerca per l’Aids. A lui, in occasione della Giornata mondiale del 1 dicembre, abbiamo chiesto di fare il punto sulla situazione.
 
Professor Ippolito, su Lancet dello scorso 2 novembre una review dedicata all’Aids di alcuni ricercatori americani e australiani, è titolata: “La fine dell’Aids: l’infezione da Hiv è una malattia cronica”. E’ così?
Non c’è dubbio che siamo ormai passati da una malattia con esito rapidamente letale a una malattia curabile anche se non ancora guaribile. Il vero problema oggi è il costo.
 
Cioè?
Il passaggio da una malattia acuta a una cronica, che ha bisogno di un trattamento per tutta la vita, durante il quale, anche se ben tollerato, possono ancora sorgere diversi problemi. Poi con l’incremento del numero dei pazienti in trattamento aumentano gli eventi avversi legati al trattamento stesso. Soprattutto per gli aspetti cardiovascolari, la malattia renale, i tumori e il coinvolgimento neurologico. Inoltre, nonostante si parli da molti anni di modelli di eradicazione o di terapia funzionale siamo ancora lontani da una cura che consenta di arrivare alla guarigione. Tutto questo porta a costi altissimi sia per le terapie in sé (i farmaci) che per i costi del sistema assistenziale.
 
Quanto costa oggi un paziente con Hiv?
Il costo medio per persona del trattamento per l’Hiv è secondo solo a quello per i dializzati e ai trapiantati con rigetto. Ma il costo per i soli farmaci è in assoluto il più alto e varia, a secondo delle stime, da un minimo di 9mila euro fino a un massimo di 18mila euro l’anno. Un trattamento quindi molto costoso e difficile da sostenere. Pensi che negli Usa ormai molti pazienti con Hiv non vengono trattati e gli Usa presentano indici di sopravvivenza molto più bassi rispetto all’Europa proprio per questo.  Tanto che il governo statunitense ha ricevuto un forte richiamo da Tony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases(NIAID) affinché sia garantito un migliore accesso ai trattamenti.
 
I generici sono una risposta alla crescita dei costi?
I farmaci equivalenti sono sicuramente di aiuto. Ma ovviamente per i farmaci di classe “più vecchia”. In ogni caso esistono ipotesi pro e contro. Nel primo caso si rileva come i generici siano utilizzati da anni senza particolari problemi, nel secondo caso invece ci si sofferma sul fatto che vi potrebbero essere problemi di dosaggio. Un problema sollevato in particolare nei paesi occidentali che deve spingere le agenzie regolatorie a dare il massimo di sicurezza nelle loro verifiche. E penso che anche Aifa si stia preparando a uno studio di comparazione tra branded e generici. Ma non ci sono solo i generici per contenere i costi.
 
A cosa si sta riferendo?
Agli aspetti strutturali dei protocolli. Penso in particolare al cambiamento della frequenza con la quale i pazienti vengono visti dal medico. Oggi possiamo dire che i controlli possono tranquillamente standardizzarsi ogni sei mesi, anziché ogni due. La differenza è notevole sia per il paziente, che evita spostamenti continui, che per i costi complessivi del trattamento.
 
L’ultimo rapporto di sorveglianza europeo effettuato su 15 paesi (l’Italia non c’è) tra il 2003 e il 2012 sottolinea che i giovani uomini che fanno sesso con uomini sono la categoria più a rischio. Siamo tornati all’inizio della storia quando si parlava di malattia degli omosessuali?
Ovviamente quella definizione era ed è sbagliata. Il punto è che, in particolar modo nei paesi della “vecchia” Europa, diminuiscono  le nuove infezioni tra i tossicodipendenti, fenomeno invece ancora prevalente nell’Europa dell’Est, mentre si nota un costante incremento tra i giovani uomini che fanno sesso con altri uomini. Il motivo sta certamente nell’abbassamento della soglia di attenzione verso il rischio dell’infezione. Sia perché si pensa che ormai la malattia sia guaribile, e non è così. Sia perché è comunque calata l’attenzione generale sul tema Aids e lo si vede anche dal fallimento dei programmi di promozione del test.
 
Anche in Italia?
Come lei notava i dati italiani in quello studio non ci sono. Ma anche da noi è ormai stabile il decremento delle nuove infezioni tra i tossicodipendenti che si è comunque stabilizzato, ma anche tra gli eterosessuali. Abbiamo praticamente azzerato i contagi da madre a figlio mentre abbiamo un’epidemia di nuove infezioni tra i maschi che fanno sesso con altri maschi. Per questo dobbiamo rilanciare con forza la prevenzione diretta nei comportamenti, preservativo in primis, e poi il ricorso al test che oggi è disponibile per tutti con estrema facilità.
 
Del vaccino non se ne parla più. Come mai?
Perché al momento non c’è nessun vaccino che si dimostri con un livello di efficacia accettabile.
 
C.F.

01 dicembre 2013
© Riproduzione riservata

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