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La lotta all’epatite C impara dall’Aids


Un milione 700 mila le persone affette da epatite C in Italia. Un’epidemia silenziosa che potrebbe presto subire un brusco freno con l’arrivo di una nuova classe di farmaci il cui meccanismo di funzionamento è mutuato dalla lotta all’Aids.
L’Istituto superiore di sanità, nel frattempo, studia la messa a punto di una piattaforma per studiarne il migliore impiego. 

22 NOV - Tra qualche mese l’Aids “compirà” trent’anni. Tanto è passato da quando i Centers for Disease Control and Prevention americani riportarono sul loro bollettino epidemiologico un aumento improvviso e inspiegabile di casi di polmonite in giovani omosessuali.
In tre decadi, un’eternità per chi vede da vicino la malattia ma un batter di ciglia per i ritmi della ricerca scientifica e farmacologica, l’Hiv è passato dall’essere un virus sconosciuto a diventare uno dei più studiati. Impressionanti anche i progressi in campo farmacologico: “Non c’è una cura, questo è bene chiarirlo — ha spiegato Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dellʼIstituto Superiore di Sanità — ma la disponibilità di farmaci sempre più potenti e meglio tollerati, a iniziare dagli inibitori della proteasi fino agli inibitori dell’integrasi e agli inibitori dell’ingresso del virus nella cellula, ci fanno pensare che potremo parlare presto di cura”.
In un prossimo futuro possiamo aspettarci “un ulteriore miglioramento di questi farmaci, grandi progressi dall’immunoterapia, cioè vaccini che aiutino il sistema immunitario a combattere, insieme ai farmaci, l’infezione - come nel caso del vaccino in sviluppo da parte del gruppo di Barbara Ensoli (leggi la notizia) e l’obiettivo ultimo è l’eradicazione del virus. Quanto al vaccino preventivo, il vaccino per non contagiarsi con l’Hiv, è molto lontano da venire”, afferma Vella.

La lezione Hiv
Se tutto questo è stato possibile, però, è perché quella dell’Hiv è la storia di una “malattia speciale”, dice Vella. “Non c’è mai stata una malattia che grazie allo straordinario impegno della ricerca abbia cambiato rotta in modo così repentino. L’Hiv è la dimostrazione concreta che un forte investimento di risorse e di energie da parte della ricerca e che una buona collaborazione tra pubblico e privato portano a grandi risultati”, aggiunge. “E poi l’Aids è un modello da prendere come riferimento per altre emergenze: può insegnare molto, per esempio, sulle modalità di sviluppo e registrazione dei farmaci”.
L’Hiv ha rappresentato inoltre un esempio da imitare per la gestione della terapia: dopo diversi tentativi, nel 1996 la svolta terapeutica è stata rappresentata dall’introduzione degli inibitori della proteasi che andavano a colpire direttamente il virus.
E a questo stesso punto siamo oggi con l’epatite C, un’infezione diversa ma non meno grave.

La piaga Hcv
“Bastano poche cifre per dare le dimensioni del dramma”, ha affermato Raffaele Bruno del Dipartimento di Malattie Infettive Fondazione IRCCS San Matteo Università degli Studi di Pavia. “Nel nostro Paese sono un milione e 700 mila gli italiani infettati dal virus dell’epatite C. Circa il 2-3% della popolazione generale è affetta dal virus Hcv, più al Sud che al Nord”.
Le conseguenze dell’infezione sono devastati: “ogni anno — prosegue Bruno — in Italia si eseguono circa mille trapianti di fegato, la maggior parte dei quali dovuti alla cirrosi da virus dell’epatite C e dal tumore del fegato. E sono ancora moltissime le persone che muoiono senza essere riuscite a ottenere un trapianto in tempo utile. Questi dati sono già sufficienti per dare le proporzioni dell’emergenza sanitaria e sociale legata all’epatite C. Eppure, la società sembra non accorgersene”.

Hcv anno zero
Tuttavia, nei prossimi mesi, come già avvenuto per l’Hiv, una rivoluzione terapeutica potrebbe investire l’epatite C. “Stanno arrivando i farmaci specifici, gli inibitori della proteasi e ancora una volta nulla sarà più come prima”, spiega Vella. “Fino a oggi per l’epatite C i pazienti potevano contare solo sull’interferone e la ribavirina, ma con dei grandi limiti. Adesso, con gli inibitori della proteasi arrivano armi che puntano diritte al virus Hcv: è veramente una rivoluzione. Quando arrivarono per l’Aids ci abbiamo messo del tempo per capire come gestirli bene, come combinarli insieme. Una lezione preziosissima che ci consentirà di non perdere tempo con l’Hcv di ridurre il rischio di resistenze”.
Proprio a questo scopo l’Istituto superiore di sanità sta mettendo a punto una piattaforma a cui prenderanno parte infettivologi ed epatologi: “si cercherà di capire quale sia il migliore impiego di questi farmaci, magari coinvolgendo anche l’industria. Un insegnamento, anche questo, imparato dall’Hiv”.
 
am
 

22 novembre 2010
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