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Ictus. Con nuovi anticoagulanti fino a 2.500 casi in meno e 32 mln risparmiati

di Edoardo Stucchi

Questi gli obiettivi raggiungibili in tre anni per la prevenzione degli ictus causati dalla fibrillazione atriale. La dimostrazione arriva da una valutazione di Health Technology Assessment presentata nel corso della conferenza stampa “Innovazione sostenibile in sanità: come valutarla?” organizzata da About Pharma

31 MAR - È meglio spendere in farmaci innovativi o continuare con le terapie tradizionali e affrontare i costi di gestione del paziente in caso di malattie gravi che comportano ricoveri frequenti come nel caso dell’ictus? È la domanda più frequente sul tavolo degli amministratori della Salute, dal Ministero ai direttori generali, perché i costi sono diventati un elemento importante nella gestione della salute e nessun trattamento può prescindere da questo. È così che oggi il mondo della Sanità sta affrontando il problema di una innovazione farmacologica importante, per la cura della fibrillazione atriale, che non decolla per colpa dei costi e delle resistenze politiche, sociali e di scarsa informazione.
 
“L’innovazione in medicina non può prescindere dalla sostenibilità – ha detto Gianfranco Gensini, presidente del Comitato consultivo scuola scienze della salute umana all’università di Firenze e vice presidente della prima sezione del Consiglio superiore di sanità – ma in ogni caso il cittadino ha diritto alle cure più appropriate. Del resto il termine di Technology assessment non è di questi giorni, perché il termine è stato coniato negli Stati Uniti ai tempi del programma Apollo. Che conseguenze potevano avere le missioni sulla luna e quali ricadute si potevano ottenere? Si chiedevano gli americani. Dal cruscotto dell’Apollo sono derivate molte applicazioni per la medicina e senza quelle missioni oggi non disporremmo di tutto quello che abbiamo. Ecco, con i nuovi farmaci e i nuovi strumenti, bisogna prevedere le ricadute nel tempo e verificare la validità delle innovazioni”.
 
Pratiche da annullare- In poche parole vanno seguite le indicazioni del progetto americano “choosing wisely” che prevede la dismissione delle pratiche mediche non più efficaci al posto delle nuove terapie, così come è stato fatto in Toscana dove si sta procedendo all’eliminazione della tradizionale terapia anticoagulante orale, che richiede controlli specifici quindicinali in laboratorio e l’impiego dei medici per la prescrizione medica che cambia di volta in volta, a favore dei nuovi anticoagulanti orali che richiedono soltanto di una visita annuale, non hanno interferenze con i farmaci e nemmeno con il cibo. “Purtroppo in Italia non abbiamo una struttura di riferimento che valuti in modo sistematico le nuove tecnologie sanitarie – aggiunge Gensini – ad eccezione di sperimentazioni ad hoc e ogni regione valuterà la dismissione di alcune pratiche mediche in base a caratteristiche territoriali. Una frammentarietà del diritto alla salute sempre più pesante”.
 
Alla luce di questo, assumono particolare importanza gli strumenti di analisi come l’HTA – Health Technology Assessment, nato per fornire una risposta operativa al divario tra le risorse limitate del Sistema Sanitario, la crescente domanda di salute e l’innovazione tecnologica, prendendo in considerazione gli aspetti clinici, economici, organizzativi, etici e sociali relativi all’introduzione di una nuova tecnologia, e il DMO (Disease Management Optimization), per identificare nuovi modelli organizzativi, al fine di ottimizzare gli obiettivi di qualità ed appropriatezza dell’assistenza, nel rispetto dei vincoli di sostenibilità.
 
In questo scenario riveste uno specifico rilievo il progetto che ha dato vita a una valutazione HTA per documentare il valore dei Nuovi Anticoagulanti Orali nella prevenzione dell'ictus in pazienti affetti da Fibrillazione Atriale non valvolare, che ha visto la partecipazione dell’Istituto di Sanità Pubblica, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, che ha presentato ieri in occasione di una conferenza stampa dal titolo: “Innovazione sostenibile in sanità: come valutarla? Il caso della prevenzione dell’ictus nei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale” organizzata da About Pharma and Medical Device con il contributo incondizionato di Bayer.
 
A questo proposito le analisi farmaco economiche, condotte allo scopo di valutare l’impatto costo-beneficio della nuova molecola anticoagulante, secondo Silvio Capizzi dell’Istituto di Sanità Pubblica all’interno dell’Università Cattolica del sacro Cuore di Roma -  dimostrano, nell’arco di tre anni, come l’introduzione della nuova molecola consenta di ridurre gli eventi di ictus e un risparmio  di 7 milioni di euro nel primo anno, di 19 nel secondo e 32 nel terzo. Ma il beneficio maggiore sono gli eventi di ictus risparmiati nel primo anno ( 642) quelli del secondo (1636) e quelli del terzo (2504). Detto questo è ora importante creare le condizioni affinchè i pazienti possano accedere in modo uniforme al trattamento”.
 
Il rischio ictus- Purtroppo sono ancora molto i pazienti che non sanno di soffrire di essere a rischio di ictus e anche coloro che sono in trattamento anticoagulante con i vecchi farmaci non sempre seguono correttamente la terapia o la smettono dopo pochi anni. La nuova molecola, infatti, viene incontro proprio per quei pazienti non ancora in trattamento e che dal nuovo prodotto possano avere un beneficio in termini di qualità di vita e di efficacia delle cure. Per spiegare la necessità di diffondere questi aspetti della nuova terapia contro il rischio di ictus da fibrillazione atriale, abbiamo interpellato il professor Giuseppe di Pasquale,  direttore della unità operativa di cardiologia dell’ospedale Maggiore di Bologna.
Intanto, che cos’è la Fibrillazione Atriale? E’ un’alterazione frequente del ritmo cardiaco che colpisce 1 milione di persone nel nostro Paese e si associa ad un rischio globale di incorrere in un ictus cerebrale 5 volte maggiore rispetto alla popolazione che non soffre di questa patologia. Rischio che aumenta in modo esponenziale con il progredire dell’età, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di mortalità, disabilità ed inevitabilmente costi per il  Sistema Sanitario Nazionale. Dei 200 mila casi di ictus mediamente stimati ogni anno in Italia, 30-36 mila sarebbero imputabili alla Fibrillazione Atriale.
 
Cure vecchie e nuove- Per esercitare misure preventive adeguate, le attuali Linee Guida Internazionali raccomandano l’applicazione di un efficace regime terapeutico, attraverso una terapia anticoagulante. In Italia, tuttavia, si registra un sottotrattamento dei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale, dovuto principalmente ai limiti della terapia farmacologica finora utilizzata (antagonisti della vitamina K), che presenta alcune difficoltà di gestione come la necessità di frequenti controlli ematici (INR) per l’aggiustamento del dosaggio, interazioni con alimenti ed altri farmaci, oltre al rischio di emorragie, soprattutto intracraniche. Recentemente, tuttavia, sono disponibili anche nel nostro Paese nuove terapie, Anticoagulanti Orali (rivaroxaban, dabigatran e apixaban) più maneggevoli e sicuri, in grado di venire incontro alle esigenze di medici e pazienti. Non richiedono controlli ematici, sono somministrati a dosaggio fisso, facilitando l’aderenza alla terapia, hanno scarsissima probabilità di interazioni con alimenti e altri farmaci, presentano ridotto rischio di emorragie cerebrali rispetto alla terapia tradizionale.
 
“Anche se con la nuova classe farmacologica ci aspettiamo una maggior copertura dei pazienti a rischio, i problemi principali che rendono ancora difficile spezzare la relazione tra Fibrillazione Atriale ed ictus sono essenzialmente tre – dichiara Giuseppe Di Pasquale, Direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale Maggiore di Bologna –. Innanzitutto perché siamo ancora in presenza di una sottodiagnosi della patologia, dal momento che l’aritmia può essere poco sintomatica, soprattutto negli anziani. Esiste, inoltre, sia da parte dei medici, che della popolazione e dei pazienti affetti da fibrillazione atriale una ridotta consapevolezza del rischio di ictus connesso alla malattia. Questo comporta un sottotrattamento, come evidenziato dallo studio italiano ATA-AF, dal quale risulta che la percentuale dei soggetti con Fibrillazione Atriale a rischio di ictus nei quali viene prescritta una terapia anticoagulante orale è solo del 55%, ed ancora meno nei soggetti di età > 75 anni. Inoltre, nei soggetti trattati, la qualità del trattamento non è ottimale, come dimostrato anche da un recente studio italiano.”
 
La parola dei malati- In questo quadro sono chiamati anche i cittadini a fare la loro parte e il Tribunale per i diritti dei malati si fa portavoce di questa esigenza. “Per garantire l’introduzione e l’accesso di tutti i cittadini alle innovazioni tecnologiche in sanità – ha dichiarato Sabrina Nardi, Vice Coordinatore Nazionale del Tribunale dei Diritti del Malato - Cittadinanzattiva – lo strumento da adottare è l’Health Technology Assessment, che deve essere basato su un approccio multidisciplinare e multidimensionale dell’innovazione stessa. Questo significa che devono essere presi in considerazione tutti gli aspetti e coinvolti tutti gli attori: le istituzioni che governano la spesa (e non solo quelle sanitarie), le associazioni dei cittadini e dei pazienti e una regia nazionale, che dia indicazioni precise e omogenee su tutto il territorio nazionale, per evitare che la frammentazione a livello regionale incida negativamente sul tema dell’equità di accesso alle cure, che oggi è un tema di particolare criticità”.
 
La stroke unit- A tutto ciò si aggiunge un altro strumento, il Disease Management Optimization – DMO, che è in grado di fornire nuovi modelli organizzativi nella gestione di patologie ad alto impatto socio-economico, definite “rilevanti”, che assorbono nel nostro Paese oltre il 60% dell’intero fondo sanitario e coinvolgono un paziente su quattro. “Le esperienze realizzate negli ultimi tre anni con il DMO (Disease Management Optimization) - dichiara Marco Volpe, Head of Life Sciences Division, Business Integration Partners - ci hanno dimostrato che si può assicurare a questi pazienti un’assistenza migliore e l’accesso alle nuove terapie disponibili. Le positive esperienze realizzate con il DMO in Puglia, Toscana e Sicilia hanno dimostrato che le specificità locali non sono una barriera. In ciascun contesto  è possibile identificare una o più modalità d’azione ed intervenire per gestire al meglio la fibrillazione atriale, ridurre il numero di ictus, i tassi di mortalità e di disabilità, il tutto senza richiedere ai sistemi sanitari investimenti aggiuntivi. Gli interventi possono essere campagne di screening mirato, protocolli per la gestione delle aritmie, percorsi per potenziare l’appropriatezza, sviluppo di modelli hub & spoke delle stroke unit, per fare solo alcuni  esempi. In tutti i casi analizzati sono emersi sempre spazi di miglioramento sostenibile”.

31 marzo 2014
© Riproduzione riservata

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