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Cancro. Ecco perché serve un nuovo modo per parlarne. Il libro di Donghi e Peluso

di Maria Rita Montebelli

Gli obiettivi delle cure in oncologia si sono oggi spostati dall'eradicazione, alla cronicizzazione del tumore; per questo, anche le parole per dire 'cancro' e i discorsi intorno a questa malattia, hanno bisogno di una nuova semantica, di nuove considerazioni. Lo spiegano nel loro libro Pino Donghi e  Gianfranco Peluso

22 GIU - È arrivato il momento di trovare un modo diverso di parlare di cancro, di fare una profonda riflessione su come le nuove conoscenze scientifiche e soprattutto i risultati ottenuti dalla medicina negli ultimi decenni, impongano un cambio di rotta nel linguaggio che usiamo per parlare di tumore, ma anche nel modo in cui lo concepiamo. Non è più tempo di linguaggio da battaglie epiche - spiegano Pino Donghi e Gianfranco Peluso, autori del libro "Di cosa parliamo quando parliamo di cancro"- perché il cancro non è un alieno dall'intelligenza perversa, ma un 'idiota arcaico', 'uno scriteriato evolutivamente primitivo'. Il tumore insomma non è un essere superiore, né tanto meno intelligente. Certo, è distruttivo, ma in maniera stupida ed elementare. Dopo anni di proclami trionfalistici inoltre, è ormai evidente che le terapie che abbiamo oggi a disposizione, sono poco più che armi spuntate e non riusciranno a sconfiggere il cancro, ma al più a cronicizzarlo.
 
Ed è proprio questa nuova prospettiva di cronicizzazione della malattia a rendere 'ancora più urgente la necessità di concepire un linguaggio che, elaborando la sconfitta, riesca riformularsi in maniera da poter concepire una nuova, auspicabile, ancorché scomodissima, convivenza'. Ma per poter convivere in modo sereno con questa scomoda presenza, è indispensabile svuotarla dell'arsenale semantico che le è stato costruito addosso in questi anni.
Il tumore è un tessuto, un insieme di cellule nel quale si innesca un condizionamento genico che porta ad una crescita anarchica e incontrollata; e ad essere fuori controllo è anche il modo in cui si approvvigiona dei nutrienti. Le cellule normali ad un certo punto si suicidano, vanno cioè in apoptosi, per permettere alle altre di sopravvivere. Si nutrono in maniera 'razionale', parsimoniosa quasi. La cellula tumorale invece ha dimenticato come si fa a suicidarsi e vive in un'orgia nutrizionale, in una grande bouffe perenne, facendo man bassa di tutti i nutrienti che trova da sangue, tessuti, liquidi corporei. Vive alla giornata, senza razionalizzare risorse e provviste, all'insegna dello spreco energetico. Ed è per queste sue caratteristiche che è 'evolutivamente primitiva', 'socialmente stupida', 'ignara di qualsivoglia superiore destino'.
 
Il testo di Donghi e Peluso propone di pagina in pagina una serie di chiarimenti in merito alle terminologie e gli attributi, che fanno da corredo alla nozione di cancro e racconta lo stato dell'arte delle conoscenze attuali sulle sue cause e le sue caratteristiche. Per farlo, ispirandosi ad un lavoro di Alberto Mantovani, gli autori seguono uno schema 'bergmaniano' , che narra in 'sigilli' le caratteristiche cellula tumorale: perdita dell'apoptosi, auto-sufficienza nei segnali di crescita, non sensibilità ai segnali di non crescita, invasione tessutale e metastasi, potenziale replicativo senza limiti, angiogenesi sostenuta. Per arrivare infine al settimo sigillo: il microambiente infiammatorio, ovvero la CRI, la cancer-related inflammation. Ogni 'sigillo' è descritto attraverso un'intrigante ricognizione delle ricerche che hanno portato alla sua definizione, corredata di notazioni che vanno dai miti greci, all'etologia dei lemming, da Darwin, a Walt Disney.
Ma esiste anche un ottavo sigillo, che gli autori aggiungono alla già ricca lista stilata da Mantovani. È il metabolismo atipico che contraddistingue la cellula neoplastica, che spreca risorse energetiche come una cicala senza futuro; quel metabolismo noto nelle camere della scienza come 'effetto Warburg', dal nome del suo scopritore, che di mestiere faceva anche il medico di Hitler. Quello che Otto Warburg considerava la causa del tumore, una malattia della respirazione cellulare, l’elevato metabolismo glicolitico, viene sfruttato oggi in clinica per la diagnosi dei tumori, attraverso la positron emission tomography (PET), ma potrebbe diventare un giorno un importante bersaglio terapeutico.
 
Il saggio di Donghi e Peluso si legge come un romanzo, disseminato di vere e proprie perle, come la descrizione della visita al museo di Etnomedicina 'Antonio Scarpa' di Genova. È un libro necessario, su un argomento difficile, all’interno del quale la scienza si ammanta di colta umanità, guidando per mano medici e pazienti verso la lezione del grande Sherwin Nuland : 'la speranza non sta solo nell'aspettativa creata dal trattamento o dalla remissione della malattia. Sta anche nella certezza di non essere lasciati soli a morire".
"Di cosa parliamo, quando parliamo di cancro" è edito da Raffaello Cortina Editore. Gli autori sono Pino Donghi, semiologo che si occupa di comunicazione della scienza e Gianfranco Peluso, direttore di ricerca presso il CNR.
 
Maria Rita Montebelli

22 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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