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Quel grasso ‘abbronzato’ che fa dimagrire

di Maria Rita Montebelli

Uno studio appena presentato al congresso congiunto dell’International Society of Endocrinology e dell’Endocrine Society a Chicago e pubblicato online first sulla rivista Diabetes, dimostra che la temperatura ambientale può modulare anche nell’uomo la formazione di grasso bruno, che protegge da diabete e obesità

23 GIU - Il grasso bruno, un tipo particolare di tessuto adiposo che fino a qualche anno fa si riteneva presente solo nel neonato, non solo è presente anche nell’adulto ma è molto ‘plastico’. Può aumentare di volume o ridursi a seconda in particolare delle temperature ambientali: con il freddo aumenta, con il caldo si riduce. Questo tipo particolare di tessuto adiposo, ha una caratteristica particolare; anziché conservare l’energia, la ‘brucia’ per generare calore, una funzione vitale nei neonati e nei piccoli animali, esposti a temperature rigide, ma forse anche un possibile bersaglio terapeutico per proteggere da diabete e obesità gli adulti. Lo studio ICEMAN(Impact of Chronic Cold Exposure in Humans) condotto dal gruppo del dottor Paul Lee del Diabetes, Endocrinology, Obesity branchdel National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases(USA), presentato a Chicago in occasione del congresso congiunto ICE/ENDO 2014 e pubblicato contemporaneamente sulla rivista ‘Diabetes’ ha dimostrato che il tessuto adiposo bruno ha una sua plasticità, può essere cioè modulato nella sua rappresentazione da uno stimolo fisico, la temperatura ambientale. In alcuni studi pubblicati in precedenza, Lee aveva dimostrato che le persone dotate di tanto grasso bruno, tendono ad essere più magre e ad avere i valori di glicemia nei limiti della norma. Lo stesso Lee, aveva dimostrato in studi di laboratorio, che il tessuto adiposo ‘bianco’, può trasformarsi in grasso bruno.  

Per lo studio ICEMAN, Lee ha reclutato 5 adulti in buona salute e li ha esposti per un periodo di 4 mesi a temperature ambientali ben definite e comunque nel range di quelle che si trovano abitualmente all’interno degli edifici climatizzati. Durante il giorno continuavano a svolgere le loro normali attività quotidiane, ma di notte, veniva chiesto loro di recarsi presso il Clinical Center dei National Institutes of Health per l’esperimento, dove permanevano almeno 10 ore in un ambiente a temperatura controllata: il primo mese a 24° (temperatura ‘termo-neutra’, alla quale il corpo non deve lavorare per produrre o disperdere calore) , il secondo mese a 19°, il terzo mese di nuovo a 24° e infine l’ultimo mese a 24°.
Al termine di ogni mese, i partecipanti allo studio venivano sottoposti ad una valutazione termo-metabolica, all’interno di un calorimetro, una stanza termicamente isolata, che consente di valutare il calore emanato dal corpo e quindi risalire alla quantità di energia ‘combusta’ per produrlo. Venivano inoltre sottoposti a PET/TAC con stimolo del freddo, per misurare la quantità di grasso bruno e a biopsie di tessuto adiposo e muscolare per valutazione le alterazioni metaboliche.
 
In questo modo, i ricercatori australiani hanno dimostrato che, la quantità di grasso bruno aumentava durante il mese con temperature notturne ma 19°, e diminuiva al contrario durante il mese, nel quale i soggetti dormivano a 27°. All’aumento di grasso bruno, corrispondeva inoltre una maggiore sensibilità all’insulina (è cioè sufficiente una mino produzione di insulina da parte del pancreas per riportare la glicemia a valori di normalità dopo un pasto),

Lo studio ICEMAN è la prima dimostrazione che il ‘reclutamento’ del grasso bruno è reversibile anche nell’uomo adulto e ha un impatto sul suo metabolismo. La quantità di grasso bruno può essere dunque indotta, cioè manipolata, anche nell’uomo attraverso uno stimolo ambientale, il freddo, che lo aumenta del 30-40%. Questa scoperta potrebbe dunque aprire nuove prospettive di terapia, sia nell’obesità, che nel diabete legato in particolare al fenomeno dell’insulino-resistenza. Un fatto da tener presente non solo in estate, ma anche d’inverno, suggeriscono gli autori, quando le temperature del riscaldamento dovrebbero essere mantenuto sul versante basso del comfort ambientale. Già da tempo le eccessive temperature all’interno delle abitazioni e degli uffici nel periodo invernale, sono state chiamate in causa come possibili cause accessorie dell’epidemia di diabesità che affligge il mondo occidentale. “Nelle ultime decadi – ricorda Lee – le temperature delle camere da letto sono salite da una media di 19° agli attuali 22°, come dimostrano studi condotti negli USA e in Gran Bretagna”. Una temperatura sufficiente a mettere il bavaglio al grasso bruno. Insomma, per dimagrire a mantenersi metabolicamente sani, consigliano gli autori di ICEMAN, oltre a dieta sana e tanta attività fisica, bisognerà cominciare a ridurre le temperature delle nostre abitazioni, in estate ma soprattutto in inverno.
 
Maria Rita Montebelli

23 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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