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Un gene difettoso apre la strada al tumore ovarico


Una ricerca condotta dall’Università dell’Insubria di Varese e in corso di pubblicazione su Pnas dimostra che l’anomalia in un gene responsabile del reclutamento dei macrofagi abbassa le difese dell’organismo contro il tumore.
La scoperta potrebbe essere la premessa alla messa a punto di terapie mirate a rafforzare la resistenza dell'organismo ai tumori.

22 DIC - I ricercatori del Laboratorio di Genetica Umana del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze Molecolari dell’Università dell’Insubria di Varese hanno isolato un gene che contribuisce a chiarire il processo che sottende la genesi del tumore ovarico.In dettaglio, lo studio, in corso di pubblicazione si Proceeding of the National Academy of the Sciences, ha identificato il gene RNASET2 che codifica per una proteina enzimatica che agisce nell’ambito del microambiente tissutale. La proteina stimola la produzione e il reclutamento di macrofagi che provvedono a circoscrivere la crescita tumorale e quindi contribuiscono a rafforzare la resistenza verso il tumore.
Dalla ricerca è emerso che nelle persone con cancro ovarico è presente un’alterazione di questo gene e di conseguenza una mancanza di reazione al tumore.“Da alcuni anni il nostro gruppo di ricerca si occupa dello studio dei meccanismi molecolari e cellulari che sono alla base della genesi di alcuni tumori solidi quali i tumori ovarici”, ha spiegato Roberto Taramelli, ordinario di Genetica umana alla Facoltà di Scienze Varese.
“Alla luce della notevole scarsità di nozioni e informazioni che riguardano l’essenza stessa di questi tumori, ossia la loro biologia di base, abbiamo cercato di trattare questa patologia con un approccio innovativo. Siamo partiti da una considerazione molto generale ma abbastanza semplice: se è un dato ormai assodato che a una persona su tre venga diagnosticata una neoplasia nel corso della propria vita, è anche vero che due persone su tre sono resistenti. Da questa premessa ci siamo quindi chiesti da cosa dipendesse questa resistenza”.
“Per rispondere a questo quesito - ha proseguito il ricercatore - occorre pensare al cancro non come un susseguirsi di alterazioni che colpiscono una singola cellula, nel nostro caso una cellula dell’epitelio ovarico, bensì dobbiamo considerare il cancro come una malattia dovuta a un’alterata organizzazione strutturale dei tessuti che compongono i nostri organi. Secondo questo modo di vedere ciò che è importante nella genesi del cancro sono le alterate e anomale interazioni fra le varie cellule che compongono un determinato tessuto. Il cancro viene pertanto visto come un disturbo che origina all’interno della “società delle cellule”, in altri termini un disturbo della comunicazione intercellulare. Questo è chiaramente un cambiamento di paradigma che focalizza gli sforzi dei ricercatori a un livello diverso (tessuto e non cellula) dell’organizzazione gerarchica degli organismi viventi e quindi sposta l’enfasi non verso lo studio della suscettibilità ad ammalarsi di cancro ma verso lo studio della resistenza nei confronti della malattia.
Solo considerando il cancro a questo alto livello di organizzazione si può comprendere tale fenomeno. Questa infatti deriva dalle complesse e complicate interazioni che si instaurano tra le centinaia di migliaia di cellule che costituiscono il cosiddetto “micro-ambiente” a livello dei nostri tessuti. A loro volta la natura delle dinamiche d’interazioni derivano dal nostro “make up genetico” ossia dall’assetto del nostro patrimonio genico che ovviamente può variare da persona a persona (differenze genetiche) e che quindi spiegherebbe parte dei processi legati alla resistenza”, ha precisato Taramelli.
La ricerca, secondo il team, conferma un’ipotesi formulata molti anni fa e “mai apprezzati dalla comunità scientifica, cioè che le cellule normali operano una forte inibizione nei confronti delle cellule neoplastiche e questa inibizione è un fattore importante nel contribuire alla resistenza. Per converso anomalie dell’inibizione sono alla base della suscettibilità al tumore”.
La speranza, ha concluso Taramelli, è che “la delucidazione delle basi molecolari/cellulari di uno degli innumerevoli processi che avvengono nell’ambito del microambiente tessutale” possa essere il “punto di partenza per studi più approfonditi degli aspetti genetici del microambiente, il quale potrebbe rappresentare un bersaglio per terapie più intelligenti e sicuramente più mirate a rafforzare i processi legati alla resistenza”. 

22 dicembre 2010
© Riproduzione riservata

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