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Nuovi anticoagulanti orali. Tanti i vantaggi, ma in Italia tante difficoltà di accesso per i pazienti

di Maria Rita Montebelli

Introdotti di recente anche in Italia, i nuovi anticoagulanti orali sono una vera arma terapeutica nella fibrillazione atriale. Tuttavia le attuali restrizioni normative, peraltro assai difformi sul territorio, pongono forti limiti alla loro prescrizione. Se ne è parlato in un recente convegno promosso dal’Associazione Dossetti

09 LUG - I nuovi anticoagulanti orali (NAO) rappresentano una vera novità terapeutica nel campo della fibrillazione atriale ed offrono degli obiettivi vantaggi. Ad affermarlo è uno dei maggior esperti del settore, il professor Raffaele De Caterina, Ordinario di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università ‘G. D’Annunzio’ di Chieti, che non manca però di sottolineare le tante difficoltà di ordine burocratico e normativo con le quali si devono confrontare quotidianamente i medici autorizzati alla loro prescrizione.

“Rispetto all’ipotesi originale – ricorda De Caterina –  che era quella di sviluppare dei farmaci più comodi per il paziente, fatto di certo utile per il paziente ma non necessariamente vantaggioso per il Sistema Sanitario Nazionale, il dato importante che è emerso dagli studi registrativi è che tutti i NAO riducono le emorragie intracraniche rispetto al warfarin in tutti gli studi di confronto e a tutti i dosaggi utilizzati per i NAO stessi”. Si tratta di un fatto importante, perché un’emorragia intracranica determina una disabilità molto maggiore rispetto all’ictus ischemico che gli anticoagulanti dovrebbero prevenire, e comporta una mortalità almeno tre volte maggiore.  Altro aspetto importante è che questo effetto di riduzione dell’emorragia intracranica dei NAO è del tutto indipendente dalla qualità dell’anticoagulazione con il warfarin, che viene usato come controllo, perché si verifica anche nei pazienti che sono stati trattati al meglio della terapia con il farmaco tradizionale. Non solo dunque questi farmaci sono più comodi, ma sono anche molto più sicuri della terapia tradizionale con anti-vitamina K, anche in un sistema ideale che utilizzi al meglio la terapia tradizionale.
 
Nonostante un loro obiettivo vantaggio in termini di efficacia e di sicurezza, i NAO hanno ancora una scarsa penetrazione in Italia. “L’Italia – afferma De Caterina – è il fanalino di coda in Europa occidentale; abbiamo meno pazienti trattati anche rispetto alla Spagna. La rimborsabilità per questi farmaci si è avuta in Italia solo a partire dal 2013, ma sulla loro scarsa penetrazione gioca anche la paura del nuovo, e forse un certo atteggiamento di ostilità da parte dei Centri per la terapia anticoagulante orale (TAO). L’apixaban è stato l’ultimo NAO introdotto in Italia, ed è stato lanciato solo a febbraio. Questo NAO è stato in assoluto quello che ha dimostrato, rispetto al warfarin, il miglior beneficio clinico netto; dallo studio registrativo principale emerge che l’apixaban ha determinato una riduzione del 31% del sanguinamento maggiore; una riduzione del 21% degli ictus per tutte le cause; e una riduzione dell’11% della mortalità”.
 
L’impiego del warfarin e degli altri anti-vitamina K tradizionali, per il loro costo molto contenuto, di certo determina una spesa minore, ma tutte le analisi costo-efficacia condotte finora dimostrano un risparmio finanziario finale maggiore con i NAO, legato al fatto sia di poter evitare il monitoraggio dell’anticoagulazione e una serie di eventi emorragici importanti, quali le emorragie intracraniche. “E’ dunque più che altro un problema politico – sostiene De Caterina –  le ASL e il SSN guardano solo alla spesa immediata e non considerano la salute di popolazione come il vero parametro sul quale ci si dovrebbe confrontare. Analogamente, il nostro SSN non considera l’efficacia come uno dei parametri di valutazione, ma solo parametri di efficienza, che non guardano al risultato finale”.
 
“L’Italia – prosegue De Caterina – vive di fatto il paradosso di 21 Sistemi Sanitari differenti; le Regioni infatti si comportano al riguardo in maniera difforme una dall’altra, e anche l’introduzione della rimborsabilità dei NAO è avvenuta in momenti diversi, a macchia di leopardo”. La Sicilia è stata l’ultima regione a introdurli. E non mancano neppure differenze intra-regionali circa le decisioni di chi debba essere abilitato a prescrivere. “Ad esempio – ricorda De Caterina – in Trentino Alto Adige c’è il 100% di abilitazione alla prescrizione tra gli appartenenti alle categorie previste (neurologi, internisti, geriatri, cardiologi), mentre in Sicilia è abilitata alla prescrizione solo il 50% di questa popolazione”.
 
In genere l’individuazione dei prescrittori dei NAO è un processo estremamente complesso e differenziato sul territorio nazionale. Ciascuna Regione infatti individua i reparti abilitati; i medici di questi reparti devono chiedere al Primario che, a sua volta, deve chiedere al Direttore Sanitario della ASL, l’abilitazione prescrittiva dei suoi dipendenti. “Un esempio delle conseguenze di questo sistema – ricorda De Caterina – è che nelle Marche non sono abilitati a prescrivere i cardiologi ambulatoriali, e anche all’interno di una stessa Unità Operativa coesistono situazioni di medici abilitati e altri no; per questo motivo nello stesso ambulatorio un paziente si può trovare un giorno di fronte a un medico abilitato, e un altro giorno di fronte a un medico non abilitato alla prescrizione”.

Le ovvie ricadute di questa situazione sono di una grande eterogeneità di percentuali di prescrizioni sul territorio nazionale. A Catania ad esempio la prescrizione dei NAO è di un sesto rispetto a Taranto. “Tutto ciò – sostiene De Caterina – deriva da una legislazione che dal punto di vista della chiarezza è molto deficitaria. Il titolo V della Costituzione, all’articolo 117, specifica che esistono delle aree di legislazione concorrente, quali l’area di tutela della salute, demandata in parte allo Stato e in parte alle Regioni. Le Regioni teoricamente dovrebbero avere la potestà legislativa in materia sanitaria, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, che sono invece riservati alla legislazione dello Stato. Si dovrebbe arguire che l’uguale accesso alle cure mediche è, a parità di bisogni, un bene nazionale fondamentale, che dovrebbe essere garantito da parte dello Stato armonizzando le legislazioni regionali. Questo evidentemente non avviene. La situazione attuale è chiara conseguenza di un eccesso del federalismo, nato dalle modifiche del titolo V, che sta producendo un neocentralismo regionale e una crescita esponenziale di contenzioso tra le istituzioni per l’ambiguità della legislazione concorrente. Questo – conclude De Caterina – ha finito per ampliare le diseguaglianze tra varie aree del Paese, costringendo a declinare il diritto di cittadinanza in modi estremamente diversi, a seconda della casualità del luogo dove ci si trova a vivere. E’ una situazione che trasforma l’appartenenza locale nella fonte primaria del diritto alle risorse. Si tratta evidentemente di qualcosa da correggere al più presto. Desidero ringraziare l’Associazione Dossetti per essersi fatta di recente promotrice di un’iniziativa di alta valenza sociale, costringendo a ragionare, prendendo l’esempio dell’accessibilità ai NAO in Italia, sul problema ancora più generale del diverso e discriminante accesso dei cittadini alla Sanità sul territorio di uno stesso Stato”.
 
Maria Rita Montebelli
 

09 luglio 2014
© Riproduzione riservata

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