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Troponina elevata nei soggetti con insufficienza renale: cosa significa?

di Maria Rita Montebelli

Due review sistematiche a firma di ricercatori della Johns HopkinsUniversity, analizzano il significato da attribuire a questo marker di miocardio-necrosi nei soggetti con insufficienza renale. Ma le risposte non sono definitive.

20 AGO - Due review, pubblicate ‘online first’ su Annals of Internal Medicine, analizzano il significato dei valori di troponina sierici nei pazienti con insufficienza renale cronica. Le troponine cardiache T ed I sono proteine deputate alla regolazione della contrazione muscolare e si trovano quasi esclusivamente a livello cardiaco; per questo rappresentano un importante marcatore di miocardio-necrosi, utilizzato per far diagnosi di danno cardiaco. Nei pazienti con insufficienza renale cronica, i valori di troponina sierica tendono però ad essere più elevati che nella popolazione generale, anche in assenza di danno cardiaco e questo rende complessa la loro interpretazione in termini di diagnosi e prognosi.
 
Tra le possibili cause di questo fenomeno, precedenti studi hanno indicato un’alterata escrezione della troponina o la presenza di alterazioni non ischemiche, quali l’ipertrofia ventricolare. Elevati livelli di troponina, sono stati riscontrati inoltre in altre condizioni acute quali, scompenso cardiaco, embolia polmonare, miocardite, sforzi strenui, sepsi. In questi contesti, si ipotizza che la troponina possa risultare elevata per un’aumentata permeabilità della membrana dei miociti o anche per una necrosi dei miociti, dipendente però da fattori diversi dalla trombosi coronarica. Per tale motivo, una task force internazionale ha redatto nuove definizioni dei vari tipi di infarti del miocardio; in particolare, elevati livelli di troponina, nel contesto di un’occlusione coronarica acuta, vengono indicati come danno miocardico di ‘tipo 1’; mentre un danno di ‘tipo 2’ indica gli elevati livelli di troponina dovuti ad altre patologie acute o ad un mismatch tra domanda e offerta di ossigeno.
 
Le review sistematiche pubblicate su Annals, hanno cercato di dare il loro contributo nella valutazione del significato della troponina nei pazienti con insufficienza renale, con o senza danno cardiaco.
La prima review, condotta da Erin Michos e colleghi della Johns Hopkins University School of Medicine e della Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health (USA) ha preso in esame 98 studi osservazionali, al fine di determinare il valore prognostico della troponina nei soggetti con insufficienza renale, senza sindromi coronariche acute. Gli autori hanno riscontrato che, tra i pazienti con insufficienza renale cronica, sia in dialisi che non, i soggetti con i valori di troponina più elevati avevano una prognosi peggiore; in particolare il loro rischio di mortalità per tutte le cause, di mortalità cardiovascolare e di eventi avversi cardiaci maggiori (MACE) risultava di 2-4 volte maggiore rispetto ai soggetti con valori di troponina più bassi.
Nei soggetti con insufficienza renale cronica (IRC), nei quali non si sospetti una sindrome coronarica acuta, secondo gli autori della review, la presenza di elevati livelli di troponina si associa ad una prognosi peggiore. Ulteriori studi serviranno a chiarire se questo marcatore sia più appropriato dei modelli clinici nel riclassificare il rischio dei pazienti con IRC e se una tale classificazione possa guidare il trattamento nei soggetti a più elevato rischio di morte.
 
Nel secondo lavoro, firmato da Sylvie Stacy e colleghi sempre della Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health e della Johns Hopkins University School of Medicine (USA), sono stati esaminati 23 studi per determinare se i livelli di troponina nei soggetti con insufficienza renale rappresentino una valida guida per diagnosi, trattamento e prognosi nei soggetti con insufficienza renale cronica e sindromi coronariche acute. Anche in questo caso, i valori di troponina si sono rivelati utili nell’individuare i soggetti a prognosi peggiore; gli autori consigliano tuttavia di inquadrare la troponina nell’ambito di altri fattori clinici. I ricercatori della  Johns Hopkins non sono inoltre riusciti a dimostrare che i livelli di troponina nei soggetti con insufficienza renale rappresentino un valido ausilio nella diagnosi di sindrome coronarica acuta (SCA). In particolare, la sensibilità della troponina T per la diagnosi di SCA varia dal 71 al 100%, mentre la specificità va da 31 all’86%; per la troponina I, la sensibilità varia dal 43 al 94% e la specificità dal 48 al 100%.
 
In un editoriale, pubblicato sullo stesso numero, William G. KussmaulIII (Hahnemann University Hospital, Philadelphia)e Ashwini R. Sehgal (Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio), mettono in guardia sul fatto che dosare i livelli di troponina nei soggetti con insufficienza renale e bassa probabilità pre-test di coronaropatia possa generare una serie di falsi positivi. Non è chiaro inoltre se in questo contesto i valori di troponina rappresentino una guida per la diagnosi e il trattamento.
Vista la loro elevata sensibilità tuttavia, i livelli di troponina potrebbero, nei soggetti con insufficienza renale, risultare più utili nell’escludere un infarto che nel diagnosticarlo, ma sempre in presenza di altri parametri clinici, che portino a sospettarne la presenza. E comunque, nel momento in cui si riscontri un elevato valore di troponina in un paziente con insufficienza renale acuta, gli editorialisti consigliano, in mancanza di un preciso valore di cut off di normalità, di ripeterne in maniera seriata le misurazioni, per valutarne l’andamento.
È necessario comunque condurre ulteriori ricerche per individuare dei valori di cut off per i livelli di troponina in diverse popolazioni di pazienti.
 
Maria Rita Montebelli

20 agosto 2014
© Riproduzione riservata

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