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Speciale ESC. Il cuore a 100 anni

di Maria Rita Montebelli

Un insolito registro spagnolo, getta luce sui segreti e gli acciacchi del cuore dei centenari, una popolazione in crescita, per la quale mancano completamente le ‘istruzioni per l’uso’. Uno studio danese dimostra invece che rianimare i più anziani in arresto cardiaco è assolutamente giustificato dai risultati che si possono ottenere

02 SET - I centenari rappresentano un eccezionale libro di testo per studiare come raggiungere con successo la longevità. Negli ultimi anni il loro numero è aumentato e non è raro incontrarli anche nella pratica clinica quotidiana. Le informazioni relative all’anatomia del loro cuore, alla sua fisiologia e fisiopatologia  sono tuttavia molto scarse.
 
A colmare questo gap culturale ha provveduto, almeno in parte, lo studio 4C (Cardiac and Clinical Characterization of Centenarians), un registro prospettico creato in Spagna dall’Hospital Gregorio Marañón e Universidad Europea di Madrid, che ha raccolto dati relativi a 118 centenari arruolati in 9 centri in un periodo di 2 anni. L’età media dei partecipanti è 101 anni (i più longevi hanno 110 anni!), 3 su 4 vivono a casa loro e solo il 23% presso una casa di riposo.
La metà circa ha una scolarizzazione di oltre 5 anni e si definisce in ottimo stato di salute; il 31% presentava un adeguato stato nutrizionale, il 28% non aveva alcun segno di alterazioni cognitive e il 64% ha un familiare di primo grado ultra-90enne. Solo l’11% è completamente indipendente nelle attività del vivere quotidiano e più della metà non erano in grado di camminare per 6 minuti.
 
Sul fronte del cuore, la maggior parte dei centenari hanno alterazioni all’elettrocardiogramma e praticamente tutti anomalie ecocardiografiche. Più di uno su 5 è affetto da fibrillazione atriale e la maggior parte presenta una disfunzione diastolica. Nel 14% di loro è stata inoltre evidenziato un certo grado di dilatazione del ventricolo sinistro, condizione associata con la possibilità di camminare per 6 minuti. Circa la metà presentava infine insufficienza aortica e questa condizione risultava associata con la mortalità.
 
Questi dati mostrano gli effetti del tempo sul cuore e in particolare quelli in grado di influenzare lo stato funzionale e la prognosi che, secondo gli autori dello studio, dovrebbero essere ulteriormente studiati e approfonditi per mettere a punto strategie mirate alla loro prevenzione e trattamento.
 
Un altro studio presentato al congresso dell’ESC si è posto l’inquietante domanda se valga o meno la pena rianimare gli ultra-80enni colpiti da un arresto cardiaco, fuori dall’ospedale.  Anticipiamo subito che la risposta è stata fortunatamente positiva.
 
Ogni anno si verificano 60 arresti cardiaci su 100.000 abitanti al di fuori dell’ospedale e solo 1 su 10 sopravvive.
Uno studio del Dipartimento di Cardiologia dell’Università di Copenhagen è andato a valutare i tassi di sopravvivenza e lo stato funzionale dopo un arresto cardiaco negli ultra-80enni.
Su 4000 pazienti trattati per arresto cardiaco a Copenhagen nell’arco di 9 anni, uno su quattro aveva più di 80 anni. I tassi di successo delle manovre rianimatorie sono stati del 25% negli ultra-80enni, contro il 40% dei pazienti più giovani e la maggior parte degli ottuagenari è arrivato alla dimissione con un alto stato funzionale.
La conclusione di Helle Søholm e colleghi è stata quindi lapidaria: non è giustificato astenersi dalle manovre rianimatorie, anche nei pazienti anziani.
 
Maria Rita Montebelli

02 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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