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Nuova vita per il Prozac: facilita il recupero dall’ictus


Uno studio pubblicato su The Lancet Neurology mostra che il farmaco, se impiegato immediatamente dopo l’evento cerebrovascolare, consente un recupero del 30 per cento migliore delle abilità motorie.

11 GEN - È probabilmente il più noto tra gli psicofarmaci. E tra i più discussi. Ma per il Prozac (fluoxetina) potrebbe aprirsi la strada di una nuova indicazione.
Uno studio condotto da ricercatori dell’ospedale universitario di Tolosa e pubblicato ieri online su The Lancet Neurology mostra infatti che l’impiego precoce del farmaco in pazienti che abbiano subito un ictus ischemico favorisce il recupero delle abilità motorie.
Nello studio, condotto tra il marzo 2005 e il giugno 2009, 118 pazienti hanno ricevuto il Prozac o un placebo per tre mesi, iniziando il trattamento non più di dieci giorni dopo la comparsa del problema cerebrovascolare.
Inoltre, tutti i pazienti hanno seguito fisioterapia a scopi riabilitativi.
A 90 giorni dall’ictus, i pazienti del gruppo in trattamento con l’inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina presentavano migliori tassi di recupero (mediamente del 30 per cento più alti). Gli effetti collaterali del farmaco sono stati inoltre molto rari e, in tutti i casi, moderati.
L’emiplegia e l’emiparesi sono tra i più comuni postumi di un ictus e secondo il team, la fluoxetina, aumentando i livelli di serotonina nel sistema nervoso centrale facilita la ripresa dei movimenti: “l’effetto positivo sulla funzione motoria […] suggerisce che l’azione sui neuroni esercitata dagli inibitori della ricaptazione della serotonina fornisca un nuovo modello degno di essere esplorato in futuro”, ha affermato Francois Chollet, il primo firmatario dello studio.
La capacità del farmaco di agire positivamente sulle cellule nervose non è però una novità.
Non più di due anni fa, uno studio condotto dal Cnr e pubblicato su Science mostrava come gli inibitori del reuptake della serotonina fossero in grado di aumentare la plasticità cerebrale, cioè, la capacità di rimodellarsi tipica del cervello giovane.
Gli esperimenti erano stati condotti su topi, ma avevano fatto luce sull’abilità di questa classe di farmaci di indurre cambiamenti nell'attività elettrica cerebrale e di stimolare la produzione di un fattore di crescita decisivo per la plasticità cerebrale.
Ora la scoperta sembra confermare quest’ipotesi anche sull’uomo e secondo i ricercatori potrebbe avere importanti implicazioni sulla pratica clinica.
Tuttavia non mancano gli inviti alla cautela. In un editoriale che ha accompagnato l’articolo, Robert Robinson e Harold Adams dell’University of Iowa avvertono: servono ulteriori ricerche, soprattutto per valutare se il miglioramento prosegue oltre i tre mesi osservati dai ricercatori.  

11 gennaio 2011
© Riproduzione riservata

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