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Pediatria. Solo il 20% dei farmaci pediatrici è testato sui bambini


Il dato è stato analizzato nel corso della prima edizione del congresso della Società italiana di ricerca pediatrica. "La maggior parte dei farmaci attualmente sul mercato è priva dell’autorizzazione per l’uso specifico nei bambini e viene somministrata Off Label”, ha osservato il presidente Francesco Chiareli.

20 NOV - Delle centinaia di migliaia di ricette scritte ogni anno per i bambini, la maggior parte indica farmaci mai studiati o sperimentati su di essi. “Nel 2002 la European Commission Better Medicine for Children ha calcolato che nel mondo meno del 50% di tutti i farmaci destinati alla popolazione pediatrica sono stati espressamente studiati per loro” racconta Francesco Chiarelli, Presidente della Società Italiana di Ricerca Pediatrica (SIRP), che si riunisce per il suo primo congresso.

"Questo primo congresso – spiega - ha lo scopo di analizzare lo stato dell'arte della ricerca in pediatria che non solo significa nuovi farmaci ma anche la comprensione dei meccanismi delle malattie infantili, comprese quelle rare. Al momento comunque la priorità è limitare i rischi dell'utilizzo di farmaci per adulti somministrati ai bambini, approvate ma successivamente ‘adattate’ ai più piccoli secondo il solo criterio del peso corporeo che però non tiene conto delle specificità dell'organismo e del metabolismo infantile . Le somministrazioni farmaceutiche pediatriche sono centinaia di milioni ogni anno, ciononostante la maggior parte dei farmaci attualmente sul mercato sono privi dell’autorizzazione per l’uso specifico nei bambini e vengono somministrati Off Label”.

Una pratica consentita dalla legge 648/96 che regola l’utilizzo dei medicinali off label ossia fuori indicazione rispetto a quello che è scritto sul foglietto illustrativo, quando non esistano alternative. I bambini però differiscono dagli adulti non solo per una questione di peso ma anche per peculiarità in termini di farmacocinetica (ossia l'assorbimento, la distribuzione, il metabolismo) e di farmacodinamica (la durata del farmaco nell’organismo prima di essere eliminato).

In assenza di studi clinici sulla popolazione che assumerà questi medicinali è difficile capire quale sia la dose corretta, il profilo di sicurezza e limitare gli effetti collaterali o le reazioni avverse. Nei neonati ad esempio, specialmente se prematuri, il fegato ha una scarsa capacità di eliminare i farmaci, e la funzione renale è ancora immatura. Al contrario, i bambini in età prescolare possono avere un’aumentata capacità metabolica e richiedono quindi dosi più alte. Il rapporto superficie corporea/peso nei bambini può essere fino a tre volte maggiore che negli adulti, provocando un maggiore assorbimento delle molecole nella somministrazione topica. Questi fattori determinano la necessità di un’ulteriore diminuzione dei dosaggi rispetto al semplice valore 'aggiustato' in base al peso. La ricerca serve a definire che ciascuna molecola non sia solo efficace ma anche sicura e a stabilire il dosaggio corretto per ciascuna fascia di età.

I bambini di età inferiore a 14 anni rappresentano circa il 15% della popolazione italiana, a cui si aggiunge un altro 5% che ha tra i 15 e i 19 anni, per un totale di circa 10 milioni di individui (100 milioni in Europa pari al 21% della popolazione). Soggetti che si ammalano delle stesse malattie degli adulti e di quelle tipiche dell’infanzia e ai quali vengono quindi somministrati dei farmaci. Il più usato nella popolazione infantile è in assoluto l’amoxicillina con acido clavulanico, antibiotico usato dal 24% dei bambini italiani ma in cima anche alle classifiche americane. Tanto per dare una misura del consumo pediatrico basti sapere che il 77% dei maschietti e il 74% delle femminucce ha assunto almeno un medicinale nel primo anno di vita.

In Italia e nel mondo la ricerca pediatrica è poco praticata. “Basti pensare - sottolinea Chiarelli -  che nel periodo 1991-2001, l’FDA ha approvato 341 nuove entità molecolari, di cui solo 69 (20%) sono state approvate anche per l’uso nei bambini, e non si è osservato un trend in aumento nel corso degli anni. Una analisi del 2007 ha mostrato che su 4897 studi clinici randomizzati (randomized clinical trials, RCT) pubblicati nel periodo 1985-2004, il 68% comprendeva solo adulti, il 18% comprendeva anche minorenni, e soltanto il 14% era esclusivamente condotto entro la fascia di età 0-18 anni. In Italia l’AIFA ha dichiarato nel suo 9° Rapporto Nazionale che nel periodo 2004-2009 solo il 9,8% delle sperimentazioni cliniche autorizzate nel nostro paese comprendeva soggetti fra 13 e 18 anni, e l’8,9% ha arruolato pazienti fino a 12 anni; solo 70 studi avevano la pediatria come area terapeutica principale”. Quali sono i farmaci prescritti più spesso con questa modalità? “Moltissimi” spiega ancora Chiarelli “dagli antibiotici al diclofenac (un antinfiammatorio non steroideo), la morfina, il midazolam (una benzodiazepina usata in anestesia) e l’epinefrina, utilizzata in medicina di emergenza per lo shock anafilattico e l’arresto cardiaco”.

Il mantra della pediatria moderna è proprio che ‘il bambino non è un adulto in miniatura’ bensì possiede peculiari caratteristiche metaboliche che possono rendere rischioso questo adattamento. Solo il settore oncologico è in controtendenza: negli USA quasi il 70% dei bambini malati di cancro è arruolato in sperimentazioni finanziate dal National Cancer Institute. I genitori sono estremamente disponibili anche perché talvolta la sperimentazione rappresenta la possibilità di accedere ad una farmaco innovativo che può rappresentare una speranza.

20 novembre 2014
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