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Clostridium difficile: il 'killer' degli anziani in ospedale, spesso misconosciuto

di Maria Rita Montebelli

Sempre più numerose e mortali le infezioni ospedaliere da questo batterio. Si calcola che ogni infezione fa aumentare il costo del ricovero di almeno 14mila euro. Una giornata di sensibilizzazione del Parlamento Europeo, in contemporanea con la pubblicazione su Lancet di EUCLID, il più ampio studio epidemiologico mai realizzato su queste infezioni

03 DIC - Il Clostridium difficile approda sui banchi del Parlamento europeo, grazie ad un evento promosso da CDI Europe, European Hospital and Healthcare Federation (HOPE) e presieduto dalla eurodeputata Karin Kadenbach.  Un argomento quello delle infezioni contratte in ambiente sanitario (HAI Healthcare Acquired Infections), e in particolare quelle da Clostridium difficile (CD), molto delicato e di grande rilevanza, anche economica. Un paziente che contrae un’infezione da CD in ospedale, resterà in media ricoverato da 1 a 3 settimane più degli altri e costerà una media di 14.000 euro in più. Ogni anno si stima che le infezioni da CD in Europa generino una spesa di circa 5 miliardi di euro.

L’iniziativa del 2 dicembre rappresenta il seguito ideale del lancio del report ‘CDI in Europe’ dell’aprile 2013, citato tra l’altro nella Risoluzione del Parlamento Europeo sulla Sicurezza del Paziente e le HAI, che invita gli Stati membri ad occuparsi con maggior decisione di infezioni quali quella da Clostridium difficile, ormai nella top ten delle infezioni ospedaliere, avendo superato in diverse nazioni anche le infezioni da MRSA.
E che l’argomento sia ‘scottante’ lo dimostrano anche i risultati del rapporto EUCLID, pubblicato su Lancet Infectious Diseases, in contemporanea con la giornata di lavori di Bruxelles.

EUCLID (EUropean, multi-centre, prospective bi-annual point prevalence study on Clostridium difficile Infection in hospitalised patients with Diarrhoea) è il più ampio studio di prevalenza mai realizzato sulle infezioni da CD in Europa. Nell’ultima pubblicazione, sono stati presi in esame i dati provenienti dai 482 ospedali distribuiti in 20 nazioni europee, che hanno aderito all’indagine. Ne risulta che, solo in questo campione, ogni anno sfuggono alla diagnosi qualcosa come 40.000 casi di infezione da Clostridium difficile. Considerando che in Europa ci sono circa 8.000 ospedali, la cifra finale è evidentemente molto più alta.

“Le linee guida – ricorda Mark Wilcox, professore di Microbiologia Medica presso l’Università di Leeds, che ha coordinato lo studio EUCLID – raccomandano di effettuare i test per CD su tutti i pazienti con diarrea di origine non definita. Purtroppo troppo spesso manca addirittura il sospetto clinico dell’infezione e quindi non viene richiesto il test che permetterebbe di fare diagnosi; per di più, i test utilizzati sono molto spesso sub-ottimali. E’ necessario dunque al più presto operare una standardizzazione delle metodiche di diagnosi e del trattamento delle infezioni da Clostridium difficile in Europa”.

Stando ai dati di EUCLID i tassi di prevalenza di CDI sono molto più elevati di quelli riportati dagli studi del passato. Lo studio ha ‘fotografato’ cosa è accaduto in due singole giornate negli ospedali europei che hanno aderito all’iniziativa: in media, in queste giornate ‘campione’, per ogni nosocomio 74 pazienti con CDI non sono stati sottoposti al test e altri 34 ha ricevuto una diagnosi falso-negativa di CDI.
La buona notizia è che dal periodo 2011-2012 a quello 2012-2013, considerati dallo studio, il numero di laboratori attrezzati con metodi ottimizzati per la diagnosi di CDI è passato dal 32,5% al 48%.

Gli ospedali che fanno più test, sono risultati anche quelli con il minor numero di infezioni da ‘ribotipo 027’, uno dei ceppi più virulenti di Clostridium difficile. Questo a riprova del fatto che una maggior consapevolezza del problema, unitamente all’impiego di metodi di testatura ideali, riduce la diffusione dei ceppi epidemici.

In questo scenario, la Gran Bretagna risulta la prima della classe per il più alto numero di ospedali con una diagnostica di laboratorio ottimale; anche per questo, il numero delle diagnosi mancate o di quelle errate in questo Paese risulta piuttosto raro. Migliorare il monitoraggio di queste infezioni, anche attraverso delle reti di sorveglianza nazionali, contribuisce a ridurre il tasso di infezione. Il nostro Paese è tra quelli che non hanno ancora attivato un sistema di sorveglianza delle infezioni da Clostridium difficile.

Le infezioni da Clostridium difficile si caratterizzano per una diarrea profusa e potenzialmente letale; in tutta Europa stanno aumentando sia la gravità di queste infezioni, che i tassi di incidenza, al punto da renderle un grave problema sanitario.
Il clostridio attacca la parete interna del colon, dove produce le tossine che provocano una grave infiammazione, che clinicamente si manifesta come una diarrea a volte così grave da portare alla morte. I pazienti colpiti sono tipicamente anziani (la maggior parte dei casi si registra negli over 65), che hanno da poco fatto uso di antibiotici ad ampio spettro (particolarmente rischioso è l’abuso di antibiotici, in particolare dei chinolonici), che alterando la flora batterica intestinale, consentono la crescita incontrollata del Clostridium difficile. Rischioso anche l’uso prolungato di inibitori di pompa.

In un paziente su 4 si verifica una recidiva di malattia entro 30 giorni dal trattamento iniziale con gli antibiotici attualmente disponibili per questa infezione (vancomicina per os, metronidazolo) e secondo l’ESCMID (European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases) le recidive rappresentano uno dei principali problemi nel trattamento delle CDI. Più efficace sulle recidive, stando ai risultati di uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, sembra essere un nuovo antibiotico, la fidaxomicina.

Maria Rita Montebelli

03 dicembre 2014
© Riproduzione riservata

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