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La dieta ha un ruolo essenziale anche per la salute mentale. Ecco come

di Viola Rita

Tanto quanto in ambito cardiologico ed endocrinologico. Inoltre la dieta durante le fasi dello sviluppo concorre al benessere mentale nei bambini. Tra i nutrienti essenziali, omega-3, le vitamine B e D, colina, ferro, zinco, magnesio, SAMe e aminoacidi

02 FEB - L’alimentazione gioca un ruolo cruciale per la salute mentale, tanto che la sua importanza in ambito psichiatrico sembra essere paragonabile a quella che essa riveste nell’ambito della cardiologia, dell’endocrinologia e della gastroenterologia. Ad affermarlo, oggi, è un gruppo di ricerca dell’Università di Melbourne, che ha effettuato un’analisi delle attuali evidenze sull’argomento, prendendo in considerazione studi scientifici in materia. Pubblicata* su The Lancet Psychiatry, la ricerca prende in considerazione studi scientifici in materia, confermando il ruolo dell’alimentazione per il benessere non solo fisico ma anche psichico.
“Noi sosteniamo il riconoscimento della dieta e della nutrizione come determinanti centrali sia di salute fisica e mentale”, scrivono i ricercatori nello studio.
 
Tale studio è stato condotta dal Dottor Jerome Sarris, dell’Università di Melbourne e membro dell’International Society for Nutritional Psychiatry Research (ISNPR), che ha spiegato quanto segue: “mentre i fattori determinanti della salute mentale sono complessi, le evidenze – che emergono in maniera convincente - che l’alimentazione rappresenti un fattore chiave nell’elevata incidenza e prevalenza dei disturbi mentali suggeriscono che la nutrizione è importante per la psichiatria tanto quanto per la cardiologia, l’endocrinologia e la gastroenterologia”.
“Negli ultimi anni”, prosegue Sarris, “sono stati stabiliti collegamenti significativi tra la qualità dell’alimentazione e la salute mentale. Studi rigorosi dal punto di vista scientifico hanno fornito contributi importanti per la nostra comprensione del ruolo della nutrizione nella salute mentale”.
Inoltre, spiegano i ricercatori, ci sono prove scientifiche che suggeriscono che prescrizioni basate sui nutrienti, oltre al migliorare della dieta, possano fornire un aiuto nella gestione dei disturbi mentali, sia a livello individuale che a livello collettivo per la popolazione. A tal proposito, il Dottor Sarris ritiene importante in ambito psichiatrico sostenere un approccio più integrato, considerando anche la dieta e la nutrizione quali elementi chiave.
 
Inoltre, il Professore Associato Felice Jacka, Principal Research Fellow della Deakin University e presidente della ISNPR, ha osservato che numerosi studi hanno dimostrato associazioni tra sane abitudini alimentari e una prevalenza della riduzione e di rischio per la depressione e suicidio tra diverse culture e gruppi di età.
Anche "l’alimentazione in gravidanza e nella prima fase della vita sta emergendo come fattore della salute mentale nei bambini”, ha affermato Jacka, “mentre gravi carenze di alcuni nutrienti fondamentali durante periodi essenziali per lo sviluppo risultano da tempo implicati nello sviluppo di disturbi sia depressivi che psicotici”.
 
In particolare, studi scientifici hanno rivelato un chiaro collegamento tra alcuni nutrienti e il benessere a livello cerebrale. Tra questi elementi, i ricercatori segnalano gli omega-3, vitamine B (in particolare acido folico e B12), colina, ferro, zinco, magnesio, S-adenosyl methionine (SAMe), vitamina D e aminoacidi.
“Mentre sosteniamo che questi nutrienti vengano assunti tramite la dieta laddove possibile, la prescrizione addizionale di questi nutraceutici (nutrienti supplementari) ulteriore selezionare la prescrizione di questi come nutraceutici (supplementi nutrizionali) potrebbe anche essere giustificata", ha affermato il dottor Sarris, che conclude dicendo che “è ora che i medici prendano in considerazione la dieta e le sostanze nutrienti aggiuntivi come parte del ‘pacchetto di trattamento’ per gestire l'enorme onere della malattia mentale".
 
Viola Rita
 
*Jerome Sarris, PhD et al. Nutritional medicine as mainstream in psychiatry. The Lancet Psychiatry, January 2015 DOI: 10.1016/S2215-0366(14)00051-0

02 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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