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Cardiologia. Riprodotto per la prima volta in laboratorio un vaso sanguigno artificiale

di Maria Rita Montebelli

L’eccezionale risultato, messo a segno dall’Università di Shanghai, consentirà un giorno di utilizzare questi vasi di ‘ricambio’ per interventi di by-pass. Si potranno così ovviare i limiti legati alla disponibilità dei vasi dello stesso paziente. Il prossimo passo consisterà nel trapiantare i vasi artificiali nell’animale.  Poi, gli studi sull’uomo.

03 FEB - ‘Fabbricato’ per a prima volta in laboratorio a Shanghai un vaso artificiale con parete a tre strati. L’eccezionale risultato è stato ottenuto dai ricercatori del Rapid Manufacturing Engineering Center della Shanghai University, combinando tecniche di ‘micro-stampa’ e di filatura elettrostatica o ( ‘electo-spinning’), mutuate dall’industria dei polimeri. La ricerca è pubblicata oggi su AIP Advances.
 
E’ la prima che viene ricreato un vaso artificiale con una parete a tre strati; finora infatti non si era riusciti ad andare oltre una parete a due o addirittura ad unico strato. Per la sua ‘costruzione’ i ricercatori cinesi hanno utilizzato materiali particolari, dotati di una buona forza meccanica e altri in grado di promuovere la crescita di nuove cellule.
 
Questo consentirà in futuro di avere sempre a disposizione dei vasi di ‘ricambio’ da utilizzare ad esempio negli interventi di by-pass aorto-coronarico, che vengono effettuati attualmente ricorrendo a vasi venosi o arteriosi dello stesso paziente. Non sempre tuttavia è possibile reperire ‘materiale’ sufficiente per effettuare questi complessi interventi (i vasi da prelevare per confezionare i by-pass a volte non sono in condizioni tali da consentirne l’utilizzo; le vene safene ad esempio possono essere danneggiate e incontinenti; le arterie radiali o mammarie interne possono presentare a loro volta lesioni aterosclerotiche o non essere idonee per essere utilizzate come by-pass). Per questo sono in corso da tempo le ricerche mirate alla creazione di vasi ‘artificiali’.
“Questi graft vascolari compositi – afferma la professoressa Yuanyuan Liu, del Rapid Manufacturing Engineering Center – potrebbero rivelarsi ottimi candidati agli interventi di riparazione dei vasi sanguigni”.
 
Per mimare al massimo la struttura naturale dei vasi, gli autori di questo progetto di ricerca sono ricorsi alla filatura elettrostatica, una tecnica che utilizza delle cariche elettriche per trasformare dei liquidi (in questo caso un mix di chitosano e di alcool polivinilico) in filamenti continui di diametro minuscolo. Questa tecnica consente inoltre di ottenere delle nanofibre con un elevato rapporto superficie-volume, tali da consentire dunque di ‘albergare’ delle cellule e di consentire loro di riprodursi e connettersi una con altra. Lo scheletro sul quale vengono ‘coltivate’ le cellule tende a degradarsi spontaneamente e a scomparire in un lasso temporale di 6 mesi-1 anno, lasciando al suo posto un vaso sanguigno nuovo.
 
Questo ‘neo-vaso’ tuttavia non è di per sé sufficientemente rigido, fatto che ha rappresentato da sempre il tallone d’Achille di tutti i tentativi precedenti. Per superare il problema, i ricercatori cinesi hanno progettato un modello di vaso a tre strati, nel quale le fibre vengono ‘elettrofilate’ su entrambi i lati di uno strato intermedio micro-stampato di poli-p-dioxanone, un polimero biodegradabile di uso comune in campo medico. Al termine della ‘filatura’, questo foglietto a tre strati, viene ripiegato e saldato alle estremità per formare una struttura tubulare (quella illustrata nella foto di Yuanyuan Liu/Shanghai University).
 
Successivamente Liu e colleghi hanno ‘seminato’ questo tubicino con fibroblasti di ratto (cellule molto facili da utilizzare perché facili da coltivare e a rapida crescita) per testare l’idoneità di questa struttura all’impiego come ‘scheletro’, per promuovere l’espansione e l’integrazione cellulare.
L’esperimento ha avuto successo, probabilmente anche grazie alla presenza di gruppi funzionali amminici e idrossilici del chitosano, che promuove una rapida proliferazione cellulare.
 
Il prossimo passo consisterà nell’impianto di questi vasi artificiali su modelli animali, per valutarne l’efficacia in vivo. Se anche questo step avrà il successo sperato, i tempi saranno maturi per gli studi sull’uomo.
 
Maria Rita Montebelli

03 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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