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Ipertensione. Maxi-studio: ecco la pressione che ci fa rischiare

di Viola Rita

La pressione sistolica (massima) sopra i 150 mmHg aumenta il rischio di infarto e ictus ed altri eventi cardiovascolari anche fatali, mentre l'aumento del rischio sarebbe assente per i pazienti con valori compresi tra i 130 e i 150 mmHg, una categoria su cui il dibattito è aperto. Se la pressione sale, inoltre, la terapia dovrebbe essere intensificata al massimo entro un mese e mezzo circa. Lo afferma uno studio sul British Medical Journal

09 FEB - Uno studio retrospettivo su più di 88mila adulti ipertesi dimostra che avere una pressione sistolica (massima) al di sopra dei 150 mmHg è un fattore che aumenta il rischio di eventi cardiovascolari potenzialmente fatali, tra cui infarto ed ictus. Lo studio, condotto dal Brigham and Women's Hospital - BWH (Boston, Stati Uniti) e pubblicato sul British Medical Journal, ha esaminato anche i pazienti con pressione sanguigna sistolica compresa tra i 130 e i 150 mmHg, per capire qual è l'impatto del trattamento farmacologico sul rischio di avere un infarto o un ictus: i ricercatori riferiscono che è la prima volta in cui tale analisi viene effettuata su questa categoria di persone, si tratta di un gruppo di pazienti i per i quali l'opportunità del trattamento è dibattuta e "controversa", si legge nello studio, data anche la scarsità di trial clinici svolti su questo tema.
Nei pazienti con pressione sistolica compresa tra i 130 e i 150 mmHg i ricercatori non hanno riscontrato un aumento del rischio di eventi cardiovascolari anche fatali, mentre al di sopra dei 150 mmHg si rileva un incremento progressivo di tale rischio.

In particolare, i ricercatori sottolineano che mentre studi precedenti hanno analizzato l'influenza del trattamento farmacologico sull'insorgenza di eventi cardiovascolari negli adulti ipertesi con pressione sistolica tra 150 e 159 mmHg, non altrettanto è avvenuto nei pazienti con valori compresi tra 140 e 149 mmHg (una categoria per la quale si dibatte riguardo al trattamento), e che le raccomandazioni riguardo al migliore trattamento per il paziente differiscono tra le varie linee guida nazionali.
A tal proposito, lo studio mette in luce alcuni momenti chiave in cui un opportuno intervento, come l’introduzione di nuove cure, è in grado di ridurre il rischio di decesso per evento cardiovascolare. Tra gli interventi presi in considerazione l’inserimento di farmaci, l’intensificazione del trattamento e la rivalutazione della situazione del paziente. 
“Il nostro è il primo studio che osserva queste misurazioni-chiave in un ampio database relativo all’assistenza primaria di pazienti ipertesi ”, ha affermato Alexander Turchin, senior author, MD, MS, medico e ricercatore presso la Divisione di Endocrinologia al BWH e direttore di Informatica clinica all’Harvard Clinical Research Institute. “I nostri risultati potrebbero aiutare a guidare i clinici nel valutare le modalità con cui i loro pazienti dovrebbero essere trattati negli ambulatori”.
 
Lo studio ha preso in considerazione 88756 pazienti adulti ipertesi che hanno ricevuto assistenza primaria tra il 1986 e il 2010 nel Regno Unito.
 Oltre alla pressione sistolica superiore ai 150 mmHg, i ricercatori hanno individuato altri due fattori collegati ad un maggior rischio di decesso per evento cardiovascolare (infarto, ictus o altro): si tratta del ritardo nel trattamento o nell'intensificazione della terapia e nella rivalutazione (follow-up) del caso del paziente.
“Abbiamo voluto raccogliere un numero maggiore di prove per capire meglio in che modo i ritardi nel trattamento della pressione sanguigna elevata possano influenzare il verificarsi di questi eventi” cardiovascolari, ha spiegato Turchin.
Nel caso in cui la pressione sanguigna del paziente abbia avuto un aumento, ritardare di più di 1,4 mesi (circa un mese e mezzo) l’intensificazione del dosaggio farmacologico o l’aggiunta di nuovi medicinali è un fattore che può contribuire a far crescere il rischio di eventi anche fatali; lo stesso vale se si ritarda di più di 2,7 mesi (quasi 3 mesi) la rivalutazione (follow-up) dei livelli della pressione sanguigna dopo l’intensificazione del trattamento farmacologico. 
 
"L'ipertensione è curabile”, prosegue Turchin. “Il trattamento medico giusto può ridurre il rischio individuale. Ma abbiamo bisogno di conoscere la pressione sanguigna ottimale, il momento più opportuno per intensificare il trattamento e per rivalutare [il paziente]. La nostra ricerca evidenzia l'importanza di evitare ritardi nel trattamento e di fissare appuntamenti di follow-up per i pazienti con ipertensione”.
 
Viola Rita
 
*Wenxin Xu et al., Optimal systolic blood pressure target, time to intensification, and time to follow-up in treatment of hypertension: population based retrospective cohort study, BMJ 2015; 350 doi: http://dx.doi.org/10.1136/bmj.h158 BMJ 2015;350:h158
 
** Lo studio è stato finanziato da Harvard Center for Primary Care

09 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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