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Infarto. Caffé riduce il rischio. Ma bisogna berne 3/5 tazze al giorno

di Maria Rita Montebelli

Con questa dose giornaliera meno calcio sulle coronarie, di chi non ne beve affatto o di chi esagera e va oltre le 5 tazze al giorno. L’effetto scudo del caffè sul cuore potrebbe essere correlato a un ridotto rischio di diabete di tipo 2. Un ampio studio coreano condotto su quarantenni in buona salute pubblicato su BMJ 

03 MAR - Il caffè, consumato con moderazione, ha sempre più le carte in regola per essere considerato un buon alleato della salute. Una recente metanalisi condotta su 36 lavori, ha dimostrato ad esempio che un consumo ragionevole di caffè si associa ad una riduzione del rischio di malattie cardiache; altri studi lo hanno associato ad un miglioramento della sensibilità insulinica e ad un ridotto rischio di diabete di tipo 2. Non mancano tuttavia le voci ‘contro’, secondo le quali il consumo di caffè potrebbe associarsi ad un rialzo del colesterolo o della pressione arteriosa.
 
Gli ultimi in ordine di tempo a cimentarsi sull’argomento ‘caffè amico o nemico della salute’ sono  stati dei ricercatori coreani del Kangbuk Samsung Hospital di Seul (Repubblica di Corea) che sono andati a studiare l’associazione tra consumo di caffè e presenza di calcificazioni coronariche (CAC), un marcatore precoce di aterosclerosi coronarica. La loro ricerca è stata pubblicata da British Medical Journal.
 
Per la loro indagine, sono stati arruolati, in occasione di un check up di routine (obbligatorio in Corea per tutti i lavoratori ad intervalli di 1-2 anni),  25.138 individui di entrambi i sessi (ma l’83,7% di sesso maschile) e con un’ età media di 41 anni, senza segni di cardiopatia. A tutti è stato chiesto di compilare un questionario sulle abitudini alimentari; quindi sono stati sottoposti a cardio-TAC, per calcolare il punteggio di calcificazione coronarica (CAC score).
 
I ricercatori coreani hanno quindi valutato i diversi punteggi CAC, rispetto ai livelli di consumo di caffè (nessun consumo, meno di 1 tazza al giorno, da 1 a 3 tazze al giorno, da 3 a 5 tazze al giorno, 5 o più tazze al giorno), prendendo in considerazione anche potenziali fattori di confusione, quali livello di istruzione, di attività fisica, abitudine tabagica, BMI, consumo di alcolici, anamnesi familiare di cardiopatie, livelli di consumo di frutta, verdure, carni rosse o processate.
 
La prevalenza di calcificazioni coronariche è risultata pari al 13,4% nella coorte studiata, mentre il consumo medio di caffè è stato quantificato in 1,8 tazze al giorno.
 
La presenza di calcificazioni coronariche ha dimostrato una distribuzione a ‘U’, risultando massima ai due estremi, cioè tra gli scarsi consumatori di caffè (meno di una tazza al giorno) e nei grandi bevitori (oltre 5 tazze al giorno), mentre è risultata minima nei soggetti dediti ad un consumo ‘moderato’ di caffè (calcium ratio: 0,77 in chi beveva meno di una tazza di caffè al giorno; 0,66 in chi ne consumava da 1 a 3 al giorno; 0,59 nei consumatori di 3-5 tazze al giorno e 0,81 nei grandi consumatori di oltre 5 tazze al giorno).
 
Questi risultati, scrivono gli autori, sono coerenti con quelli della letteratura scientifica di recente pubblicazione, che in maniera abbastanza univoca attribuisce al caffè un effetto protettivo contro gli eventi cardiovascolari. Diversi studi e metanalisi hanno infatti stabilito che un consumo regolare e moderato di caffè si associa ad un ridotto rischio di eventi cardiovascolari.
Un effetto questo che potrebbe essere legato al ridotto rischio di diabete di tipo 2 (un importante fattore di rischio per aterosclerosi), osservato nei consumatori abituali di caffè.
 
“Il nostro studio – concludono i ricercatori coreani – si va così ad aggiungere ai sempre più numerosi lavori che suggeriscono come il consumo di caffè si associ in maniera inversa al rischio di malattie cardiovascolari. Sono necessarie naturalmente ulteriori ricerche per confermare questi dati e far luce sulle basi biologiche dei potenziali effetti protettivi del caffè nei confronti delle coronaropatie”.
 
Maria Rita Montebelli

03 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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