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Arresto cardiaco nei bambini: nessun vantaggio con ipotermia e normotermia

di Gene Emery

 I risultati della ricerca, estratti da quasi 300 bimbi in 38 ospedali pediatrici canadesi e statunitensi, sono stati presentati in occasione del meeting annuale della Pediatric Academic Societies e pubblicati online dal New England Journal of Medicine.

03 MAG - (Reuters Health) – Un grande studio è arrivato alla conclusione che raffreddare il corpo di un bambino colpito da arresto cardiaco fuori dall’ospedale non favorisce in nessun modo la sopravvivenza e non produce nessun aumento significativo della funzionalità, rispetto al mantenimento della temperatura del corpo a livelli normali. "Volevamo capire se una condizione fosse meglio dell’altra” ha spiegato il Dr. Frank Moler, della University of Michigan Medical School. “Il nostro studio ha dimostrato che ipotermia e normotermia hanno ottenuto risultati simili. Pertanto, entrambe le condizioni possono essere usate per prevenire la febbre, che in questi casi rappresenta un problema”.
 
I risultati della ricerca, estratti da quasi 300 bimbi in 38 ospedali pediatrici canadesi e statunitensi, sono stati presentati il 25 aprile in occasione del meeting annuale della Pediatric Academic Societies - che si è svolto a San Diego - e pubblicati online dal New England Journal of Medicine.
 
Ogni anno negli USA circa 6,000 bambini hanno arresti cardiaci al di fuori dell’ospedale, spesso in conseguenza di ipossia causata da trauma, strangolamento o annegamento "Il più grande studio sui bambini ha suggerito che il raffreddamento era pericoloso”, ha ricordato il Dr. Moler.” Una ricerca pubblicata nel 2002 aveva consigliato l’uso di questa tecnica, ma questo studio non ha cercato di prevenire la febbre nei pazienti con arresto cardiaco”.
 
Nello studio sull’ipotermia terapeutica dopo un arresto cardiaco pediatrico (THAPCA, Therapeutic Hypothermia After Pediatric Cardiac Arrest), i medici hanno usato il controllo attivo della temperatura per vedere cosa succedeva se le temperature del corpo venivano tenute a 33.0 o 38.6 gradi. per due giorni, seguiti da tre giorni di temperatura normale. I 295 bambini presi in considerazione dallo studio avevano dai tre giorni ai 17 anni. Il trattamento solitamente veniva iniziato sei ore dopo la ripresa della circolazione.
 
I ricercatori hanno usato la seconda edizione delle Vineland Adaptive Behavior Scales (VABS-II) per valutare i risultati neurocomportamentali. I punteggi vanno da 20 a 160 e i numeri più elevati indicano un migliore funzionalità. Tutti i bambini hanno avuto un punteggio di almeno 70 prima del loro arresto cardiaco. Al traguardo dei 12 mesi, il 20% del gruppo di ipotermia ha avuto un punteggio di 70 o più, contro il 12% nel gruppo della normotermia. I risultati dall’inizio ai 12 mesi non erano molto differenti.
 
La sopravvivenza dopo un anno era del 38% nel gruppo ipotermia e 29% in quello normotermia. Nei due gruppi è stato possibile comparare anche la percentuale di sopravvivenza dopo 28 giorni, le aritmie gravi e le infezioni. Lo stesso team di ricercatori sta studiando anche casi di arresti cardiaci pediatrici in ospedale. I risultati hanno combaciato con le precedenti ricerche, come il Trial TTM del 2013 condotto in Europa e Australia, e hanno suggerito che portare la temperatura interna sotto il normale non offra benefici nelle vittime adulte di arresto cardiaco extra-ospedaliero.
 
Fonte: New England Journal of Medicine
 
Gene Emery

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science) 

03 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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