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SPECIALE. Farmaci orfani assorbono 4,3% della spesa farmaceutica. E l’81% è rimborsato dal Ssn. Ma servono nuove partnership tra pubblico e privato


Dati analizzati e discussi nel corso del 1° Orphan Drug Day promosso dall'Osservatorio Malattie Rare. A livello europeo le designazioni orfane sono state ben 1163. “C’è ricerca, che però ha tempi lunghi e peculiari difficoltà: su 1163 molecole che hanno ottenuto dall’Ema lo status ‘orfano’, infatti, solo 93, cioè l’8%, hanno ad oggi avuto l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio”, ha spiegato la senatrice Laura Bianconi, coordinatrice dell'evento. 

08 LUG - I farmaci orfani, utilizzati per curare le malattie rare, sono rimborsati dal Ssn nell’81% dei casi e assorbono il 4,3% della spesa farmaceutica italiana. Manca, tuttavia, “una cultura diffusa che valorizzi questi medicinali, soprattutto perché fatica a svilupparsi una solida partnership tra accademia, industria, fondazioni di ricerca e associazioni di pazienti”. E’ lo scenario tracciato da Emilio Clementi, Direttore dell'UO di farmacologia clinica della azienda ospedaliera L. Sacco di Milano, durante il 1° Orphan Drug Day, organizzato da Osservatorio Malattie Rare e dedicato al tema ‘Farmaci orfani, ricerca & sviluppo “Made in Italy: il punto su progressi ed ostacoli’, realizzato grazie al contributo non condizionato di Alexion, Biomarin, Celgene, Genzyme, Orphan Europe e Shire.

“Qualcosa è stato fatto, per esempio l’accordo tra Telethon, IRCCS San Raffaele e GSK, ma non è sufficiente – ha ammonito - Bisogna stimolare questo tipo di collaborazioni perché realmente possono facilitare la ricerca di bersagli terapeuticamente validi, accelerare ed affinare sia il disegno di farmaci innovativi che il processo clinico necessario al loro utilizzo sui pazienti”. Anche perché la complessità della fase economica e la politiche improntate sul risparmio “orientate dal principio costo-efficacia non possono essere applicate ai farmaci orfani”.

Si tratta comunque di un settore in cui l’Italia si dimostra molto attiva. “Il 20 % della sperimentazione clinica nel nostro paese è effettuata con farmaci orfani”, ha osservato Ilaria Ciancaleoni, direttore di Osservatorio Malattie Rare. Gli ultimi dati Aifa (2014) parlano di ben 117 trial clinici aperti, l’80% circa dei quali è arrivata alla fase II o alla fase III, le fasi della sperimentazioni più vicine al ‘letto del paziente’. “Non sono però tutte rose e fiori – sottolinea - Se pure su 93 farmaci con l’AIC il 78% è già a disposizione dei pazienti, dopo aver passato tutto il lungo percorso di prezzo e rimborso con Aifa e l’inserimento nei prontuari regionali, c’è un 22% che sta ancora aspettando la fine di questo iter. Difficile sostenere che possa essere un problema di costi: stando ai dati del 2013 l’impatto dell’intera classe dei farmaci orfani è stato solo il 4,65 % dell’intera spesa farmaceutica”.

Il quadro è particolarmente articolato e complesso. “Le malattie rare riguardano oltre 2 milioni di pazienti che però sono collocati in piccole caselle – ha spiegato la senatrice Laura Bianconi, membro della Commissione Igiene e Sanità – Spesso hanno bisogno di quasi 10 anni per ottenere una diagnosi”. Negli ultimi anni non sono tuttavia mancati i passi in avanti. “Ora disponiamo di un Piano su scala nazionale con 110 patologie riconosciute, segno che il meccanismo si è messo in moto. Resta, invece, da vincere la sfida relativa al miglioramento dell’assistenza, avviando percorsi più organici”. A livello europeo le designazioni orfane sono state ben 1163. “C’è dunque ricerca, che però ha tempi particolarmente lunghi e peculiari difficoltà: su 1163 molecole che hanno ottenuto dall’Ema lo status ‘orfano’, infatti, solo 93, cioè l’8%, hanno ad oggi avuto l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC). L’altro 92% è ancora per strada, oppure ha tradito le promesse fallendo”. Nel complesso il settore mostra evidenti peculiarità “poiché le imprese, che conservano l’obiettivo del profitto, stabiliscono un rapporto diretto e personale con i pazienti. Si tratta di un’unicità da salvaguardare in ogni modo”.

Le difficoltà dunque riguardano “chi sviluppa e commercializza i medicinali, ma anche chi li prescrive – ha ragionato Pierpaolo Vargiu, Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera – E’ quindi necessario costruire certezze su larga scala e avviare percorsi di sensibilizzazione che garantiscano un’iniezione di conoscenza a tutto il sistema e in particolare per i decisori. Parliamo infatti di farmaci orfani soltanto per la definizione: sono prodotti che servono e di cui non si può fare a meno”.

Obiettivo primario è allora “garantire un coordinamento tra realtà diverse nel rispetto delle specificità – ha affermato il deputato Paola Binetti, membro della Commissione Affari Sociali – Un tema che evoca fisiologicamente la debolezza di alcuni aspetti della ricerca in Italia, dovuta alla grossa frammentazione tra i ministeri coinvolti”. Un salto di qualità è perciò legato “alla definizione di nuovi modelli organizzativi, incentrati su nuove e più forti sinergie. La mission principale consiste nel pieno coinvolgimento di tutti gli anelli della catena, unica strada per produrre effettivamente valore aggiunto”. Sulla stessa lunghezza d’onda Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute con delega alle malattie rare. “E’ auspicabile un maggior ricorso a formule di partnership, facilitando l’interazione tra pubblico e privato che racchiude floride prospettive in campo farmaceutico. Servono luoghi strategici e punti di incontro all’insegna di un’ottica ben precisa: gli investimenti nella ricerca sono tecnicamente dinamiche di natura aziendale. Oggi, però, sono ancora troppi gli asset che non vengono valorizzati adeguatamente”.

Nel corso del dibattito sono poi emerse sostanzialmente tre nuove ipotesi di lavoro:

Standardizzazione dei costi e riduzione dei tempi legati al lavoro dei comitati etici.
“Nella ricerca clinica – ha spiegato Gianni De Crescenzo, direttore medico di Celgene - per rendere ancora più attrattivo un Paese che conta grandi individualità ed eccellenti centri di ricerca, possiamo e dobbiamo lavorare sui costi e sui tempi per le autorizzazioni. Oggi un’azienda che voglia fare ricerca deve, tra le spese, sia versare una quota ad Aifa, che al Comitato Etico Coordinatore, che ai singoli CE per la revisione dei protocolli di studio. Sarebbe auspicabile un tariffario delle prestazioni comune a tutti i centri di ricerca clinica, così da ridurre i tempi di negoziazione dei contratti. I tempi, poi, si potrebbero ridurre anche prevedendo che la valutazione amministrativa sia contestuale all’approvazione del comitato etico. C’è poi il problema di una omogeneità, di una standardizzazione delle procedure dei CE, delle documentazioni da questi richieste, da una standardizzazione dei moduli dei Consensi Informati”.
Tutte queste richieste, a costo zero per le strutture sanitarie, hanno convenuto le aziende presenti, permetterebbero una drastica riduzione dei tempi di approvazione delle ricerche cliniche”.

Programmi ‘Name Patient’
“Sul piano dell’accesso alle terapie, in fase di sperimentazione, laddove l’arruolamento di un paziente negli studi clinici in corso non sia possibile, sarebbe necessaria una valutazione specifica del rischio/beneficio per poterne valutare comunque l’accesso al trattamento - ha detto Marcello Allegretti, direttore scientifico di Dompè - Casi di questo tipo dovrebbero essere considerati con grande attenzione dalle Autorità, prima di tutto a tutela dell’interesse del paziente ma anche in considerazione dell’enorme rilevanza che, nel campo delle patologie rare, può avere il dato clinico anche del singolo paziente, se raccolto nell’ambito di una sperimentazione controllata. In questi casi la richiesta di trattamento può essere ricondotta al ‘named patient basis’ secondo cui: “i medici possono anche ottenere promettenti medicine per i loro pazienti richiedendone la fornitura all’Azienda produttrice per poterli usare per il trattamento dei propri pazienti sotto la propria responsabilità” .
La proposta in questo caso sarebbe quella di istituire un processo di valutazione formale da parte dell’Ente Regolatorio delle richieste di accesso ‘named patient basis’, almeno limitatamente ai casi di pazienti affetti da patologie rare.

Il tema dell’Hospital Exemption
“Per quanto attiene alla sperimentazione di terapie avanzate, in particolare per le patologie orfane, la compresenza di Hospital Exemption, sviluppo clinico regolatorio e produzione industriale crea una serie di problemi – ha spiegato Andrea Chiesi, Direttore R&D Portfolio Management di Chiesi e CEO Holostem Terapie Avanzate – L’esperienza clinica in Hospital Exemption non è raccolta in studi formalizzati con dati interpretabili, lasciando lacune informative potenzialmente pericolose ed impedendo la transizione verso uno sviluppo metodologicamente corretto. I sistemi di farmacovigilanza sono incerti e non sempre consentono la gestione del profilo di sicurezza ed attività dei nuovi farmaci. Inoltre l’incertezza dell’ambiente nel lungo periodo scoraggia ulteriori investimenti nel settore, con possibili pesanti conseguenze per i pazienti che potrebbero trovarsi nella situazione di non vedere nuove terapie possibili raggiungere il mercato”.
La proposta è dunque quella di ricercare una più chiara gestione a livello europeo, che si potrebbe raggiungere attraverso una definizione degli ambiti presenti e futuri dei vari approcci possibili, impedendo a priori la commistione e la compresenza di approcci così differenti. In questo senso il recente Decreto Lorenzin sulle Terapie Avanzate si pone come un importante contributo alla chiarezza, che potrebbe essere divulgato come ‘best practice’ anche in altri Paesi.
 

08 luglio 2015
© Riproduzione riservata

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