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Ipoparatiroidismo: pubblicate le linee guida della Società Europea di Endocrinologia

di Maria Rita Montebelli

Una patologia rara e dunque poco conosciuta, che può capitare di incontrare però nella pratica clinica. Soprattutto nei pazienti sottoposti ad intervento di tiroidectomia. Le nuove linee guida spiegano come riconoscerla dalla sua sintomatologia variegata e spesso ingannevole, come fare diagnosi e come arrivare al trattamento più adeguato.

12 LUG - La European Society of Endocrinology ha appena pubblicato sulla sua rivista ufficiale, European Journal of Endocrinology, delle linee guida sul trattamento dell’ipoparatiroidismo cronico, una malattia rara (designata ‘orphan disease’ dalla Commissione Europea nel gennaio 2014), che interessa un adulto su 4.000.
 
Le nuove linee guida sono frutto di un’attenta revisione di oltre 300 studi riguardanti questa condizione. Da questa ricognizione sono scaturite 31 nuove raccomandazioni, mirate ad ottimizzare il trattamento dell’ipoparatiroidismo cronico, una condizione caratterizzata da una carenza di paratormone, che a sua volta genera una caduta dei livelli della calcemia. Queste linee guida non prendono in considerazione i soggetti affetti da insufficienza renale in stato terminale.
 
I sintomi di questa condizione possono essere molto variegati e vanno da movimenti muscolari anomali (contratture, ‘crampi’, ecc), alla cataratta, a problemi renali, alla depressione. In gravidanza l’ipoparatiroidismo favorisce l’insorgenza di una serie di complicanze, per cui è fondamentale riconoscerlo in tempo e trattarlo.
Le linee guida danno indicazioni per monitorare adeguatamente e quindi trattare questa condizione nelle varie età della vita, anche durante la gravidanza e l’allattamento.
 
Diagnosi.Le linee guida raccomandano di prendere in considerazione la diagnosi di ipoparatiroidismo cronico in tutti i soggetti con bassi livelli di calcio circolante e livelli di PTH bassi in maniera inappropriata.
La causa più frequente di ipoparatiroidismo cronico è la rimozione delle paratiroidi, a seguito di un intervento di tiroidectomia (si verifica nel 2-10% dei tiroidectomizzati). Questa condizione si può sviluppare però anche a causa di una patologia autoimmune, che porta alla distruzione del parenchima ghiandolare.
Infine, come ricordano le linee guida, l’ipoparatiroidismo può essere causato anche da una mutazione genetica che, una volta escluse le cause più frequenti, andrebbe dunque ricercata; l’ipoparatidismo può essere parte di una sindrome genetica (quale la sindrome di Di George o la Kenny-Caffey tipo 2 o la Sanjad–Sakati/Kenny–Caffey tipo 1) o rappresentare un’endocrinopatia isolata, causata da una mutazione di GCM2, PTH, CASR o GNA11.
 
Trattamento.L’ipoparatiroidismo è una delle poche malattie endocrine nelle quali la carenza dell’ormone che ne è alla base (il PTH o paratormone) non viene trattata con la terapia sostitutiva, cioè somministrando direttamente l’ormone mancante, come si fa ad esempio nel caso dell’ipotiroidismo o del diabete di tipo 1. Il trattamento è invece affidato alla somministrazione di analoghi della vitamina D e di calcio.
Le linee guida raccomandano di sottoporre a trattamento tutti i soggetti con ipoparatiroidismo cronico con sintomi derivanti dall’ipocalcemia e livelli di calcemia aggiustati per albuminemia inferiori a 2,0 mmol/L (8 mg/dl) o livelli di calcio ionizzato inferiori a 1,00 mml/L.
 
Le linee guida raccomandano la somministrazione di analoghi attivi della vitamina D (400-800 UI/die), insieme a supplementi di calcio, a dosaggio frazionato. Qualora non fossero disponibili gli analoghi attivi della vitamina D, viene raccomandato l’uso di calciferolo (in preferenza di colecalciferolo). Il dosaggio della vitamina D deve essere titolato in modo che i pazienti non presentino più sintomi da ipocalcemia e che i livelli di calcio siano a target. Se il paziente presenta ipercalciuria, bisognerà prendere in considerazione una riduzione della posologia dei supplementi di calcio, una dieta iposodica e/o il trattamento con diuretici tiazidici.
Nei pazienti con litiasi renale, viene consigliato di valutare la presenza di fattori di rischio per calcolosi renale e il conseguente trattamento degli stessi secondo quanto previsto dalle linee guida internazionali.
 
Nei soggetti con iperfosfatemia e/o un elevato prodotto calcio-fosfati, gli esperti consigliano interventi dietetici e/o un adeguamento del trattamento con calcio e analoghi della vitamina D.
Nei soggetti con ipomagnesemia, le linee guida consigliano di adottare misure per riportare alla norma i livelli di magnesio.
 
In generale, viene sconsigliato l’uso di una terapia sostitutiva con PTH o analoghi del PTH.
 
Obiettivi del trattamento sono il mantenimento dei livelli di calcemia (calcio ionizzato o calcio totale, aggiustato per i livelli di albuminemia) ai limiti inferiori della norma, o appena sotto questo limite, nei pazienti che non mostrano segni o sintomi di ipocalcemia. L’escrezione di calcio nelle urine delle 24 ore dovrebbe invece essere contenuta nel range di normalità sesso-specifico, come anche i livelli di fosfatemia e di magnesemia. Secondo gli autori delle linee guida, il prodotto calcio-fosfato sierico dovrebbe essere inferiore a 4,4 mmol2/l2 (55 mg2/dl2) e i livelli di vitamina D dovrebbero essere mantenuti a livelli adeguati.
 
Monitoraggio. Viene raccomandato di monitorare periodicamente i livelli di calcio ionizzato (o di calcemia totale aggiustata per l’albuminemia), fosfato, magnesio, creatinina (eGFR) e di rivalutare i sintomi dell’ipocalcemia o dell’ipercalcemia ad intervalli regolari di tempo (idealmente ogni 3-6 mesi).
Ad ogni cambiamento della terapia, viene raccomandato di effettuare un monitoraggio dei parametri di laboratorio ogni due settimane. I controlli della calciuria delle 24 ore, potranno essere effettuati invece una volta l’anno o ogni due anni.
Nei pazienti con sintomi coliche renali o con livelli della creatininemia in crescita, le linee guida raccomandano di effettuare un’ecografia renale.
Su base annuale, dovrebbe essere effettuata la valutazione della comparsa di segni o sintomi di comorbilità eventuali.
Non viene raccomandato invece il monitoraggio di routine della densità minerale ossea con DXA.
 
Ipocalcemia autosomica dominante (ADH). Le linee guida raccomandano controlli frequenti nei soggetti con ADH, in trattamento con calcio e/o analoghi della vitamina D attivi, poiché questi pazienti possono essere a rischio aumentato di ipercalciuria e di complicanze renali.
 
Gravidanza e allattamento. Il trattamento con analoghi attivi della vitamina D e supplementi di calcio è consigliato nelle donne non in stato di gravidanza. Nel corso della gravidanza e dell’allattamento viene suggerito il monitoraggio regolare (ogni 2-3 settimane) del calcio ionizzato (o della calcemia totale aggiustata per i livelli di albuminemia); i livelli vanno mantenuti nella parte bassa del range di normalità.
Pediatra e neonatologo devono naturalmente essere informati del fatto che la madre è affetta da ipoparatiroidismo.
 
“L’ipoparatiroidismo – commenta il professor Jens Bollerslev, primo autore delle linee guida  è una condizione complicata che determina una grande varietà di sintomi e può essere dunque difficile da riconoscere. Per questo riteniamo che ci siano ampi margini di miglioramento nella qualità del trattamento di questa condizione. E questo è appunto lo scopo di queste linee guida, pensate per fornire ai medici delle raccomandazioni pratiche su come trattare questa patologia rara e poco nota”.
Le linee guida sul trattamento dell’ipoparatiroidismo possono essere scaricate gratuitamente da questo link: DOI 10.1530/EJE-15-0628.
 
Maria Rita Montebelli

12 luglio 2015
© Riproduzione riservata

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