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Insulino-resistenza: un nuovo fattore di rischio per Alzheimer nelle donne?

di Maria Rita Montebelli

Dell’associazione tra diabete e demenza si parla ormai da anni. Ma adesso uno studio appena pubblicato su Diabetologia individua nell’insulino-resistenza un possibile fattore di rischio per demenza, ma solo per le donne. Ignoti i meccanismi alla base di questa associazione. Ma intanto gli autori invitano le donne più a rischio di diabete di tipo 2, quelle obese, ad un deciso cambiamento degli stili di vita.

13 AGO - L’insulino-resistenza, condizione alla base del diabete di tipo 2, sembra associarsi al rallentamento della parola, un segno di decadimento cognitivo associato alla demenza. Lo sostiene uno studio appena pubblicato su Diabetologia da un gruppo di ricercatori finlandesi.
 
Da tempo è nota l’associazione tra diabete di tipo 2 e morbo di Alzheimer, al punto che il diabete viene ormai considerato un fattore di rischio sia per il decadimento delle funzioni cognitive, che per l’Alzheimer.
 
Per svelare il legame tra insulino-resistenza e disturbi cognitivi, gli autori dello studio hanno testato l’ipotesi che sia il sesso, che l’allele Ɛ4 dell’apoliproteina E (un noto fattore di rischio per morbo di Alzheimer) possano giocare un ruolo in tal senso. E a tale proposito hanno selezionato un campione rappresentativo della popolazione finlandese, di età compresa dai 30 ai 97 anni.
 
La fluidità verbale viene spesso studiata allo scopo di valutare le funzioni esecutive, il linguaggio e la memoria semantica. Di solito si ricorre ad un test della durata di appena 60 secondi, nel quale viene chiesto ad un soggetto di citare il nome di quanti più animali possibili. Il punteggio assegnato al test è pari al numero di animali nominati.
 
Utilizzando questo test, gli autori hanno scoperto che uno stato di insulino-resistenza (valutato con il test HOMA-IR) più marcato si associava ad una peggiore fluidità dell’eloquio nelle donne, ma non negli uomini.
 
Un’insulino-resistenza più marcata si associava ad una più scarsa fluidità verbale negli individui APOE*E4-negativi ma non nei portatori dell’APOE*E4. Maggiore l’insulino-resistenza infine, più lento il tempo di reazione riscontrato in tutti gli individui del gruppo in esame.
 
Secondo gli autori, la differenza di genere riscontrata nell’associazione insulino-resistenza/decadimento cognitivo potrebbe trovare una sua spiegazione nelle differenze di genere già in precedenza dimostrate in merito alle lesioni cerebrali note come ‘iperintensità della sostanza bianca’ (WMH), visualizzabili attraverso esami di neuro-imaging. Si tratta di lesioni comuni nelle persone con problemi metabolici quali l’insulino-resistenza e più frequenti tra le donne che tra gli uomini.
 
“Le lesioni della sostanza bianca – spiega uno degli autori dello studio, Laura Ekblad, Università di Turku e Turku University Hospital, Finlandia – sembrano giocare un ruolo nel morbo di Alzheimer; per questo, l’associazione tra insulino-resistenza e funzioni cognitive potrebbe stare ad indicare che l’insulino-resistenza rappresenta un fattore di rischio per il morbo di Alzheimer. Un rischio che potrebbe essere modulato da una serie di meccanismi che vanno ai danni vascolari, alle lesioni della sostanza bianca, ai meccanismi diretti dell’insulino-resistenza sull’accumulo del peptide beta-amiloide, alle alterazioni funzionali del metabolismo del glucosio e del flusso cerebrale regionale o da un’insieme di questi fattori.
Per quanto ci sia dato sapere – prosegue la ricercatrice - nessun altro studio finora ha indicato la possibile influenza del genere femminile sull’associazione tra insulino-resistenza e fluidità dell’eloquio in uno studio di così ampia portata, comprendente sia giovani, che persone di mezz’età. Sarebbe dunque importante approfondire gli effetti causali dell’insulino-resistenza sulle funzioni cognitive perché questa condizione potrebbe rappresentare un marcatore precoce di declino cognitivo nelle donne.”
 
Questi risultati dimostrano la presenza di un’associazione tra insulino-resistenza e alterazioni della fluidità verbale nelle donne, fatto questo che rafforza il valore di osservazioni precedenti, che avevano suggerito come l’insulina eserciti un effetto genere-specifico sulle funzioni cognitive.
 
Sebbene la fluidità verbale non rappresenti la misura più sensibile per individuare precocemente i segni di un declino cognitivo nell’adulto, questo fattore si associa bene con l’insulino-resistenza nelle donne e con  le regioni cerebrali che sono influenzate in maniera negativa dall’insulino-resistenza. Il fatto che questa associazione sia presente anche in soggetti giovani, starebbe ad indicare che l’associazione tra insulino-resistenza e alterazioni cognitive sia presente già molto anni prima della comparsa di gravi difetti cognitivi.
Sarà in futuro necessario condurre altri studi per esplorare le relazioni causali tra insulino-resistenza e stato cognitivo.
 
“I risultati del nostro studio – conclude la Ekblad – suggeriscono che le donne potrebbero essere più vulnerabili degli uomini agli effetti dell’insulino-resistenza sulle funzioni cognitive. Una condizione di insulino-resistenza può essere presente anche molti anni prima della comparsa di un diabete di tipo 2. Alla luce di questi risultati diventa dunque ancora più importante ricorrere a efficaci misure di prevenzione, come il cambiamento dello stile di vita, soprattutto nelle donne a rischio di diabete di tipo 2, tipicamente quelle obese”.
 
Maria Rita Montebelli

13 agosto 2015
© Riproduzione riservata

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