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Deficit di lipasi acida lisosomiale (LIPA): si corregge con la sebelipasi alfa. Finalmente una terapia per questa malattia rara.

di Maria Rita Montebelli

La sebelipasi alfa, un prodotto dell’ingegneria genetica, è la forma sintetica dell’enzima mancante nel deficit di LIPA; questa malattia provoca alterazioni della funzionalità epatica  fino alla cirrosi e una grave forma di dislipidemia, spesso equivocata con l’ipercolesterolemia familiare, che peggiora con le statine. Gli esperti raccomandano di considerare il deficit di LIPA, nella diagnosi differenziale delle dislipidemie gravi associate a patologie epatiche. Soprattutto ora che si profila la possibilità di un trattamento.

10 SET - E’ una bella notizia, come tutte quelle relative alla scoperta di una nuova terapia - ancor più se per una malattia rara - ed è stata pubblicata oggi sul New England Journal of Medicine. Uno studio di fase 3, l’ARISE (Acid Lipase Replacement Investigating Safety and Efficacy), condotto con la sebelipasi alfa, somministrata a pazienti con deficit di deficit di lipasi acida lisosomiale (LIPA) ha dato risultati incoraggianti, bloccando la progressione dei danni epatici e aterosclerotici tipici di questa malattia da accumulo lisosomiale. Allo studio, internazionale e multicentrico, coordinato da Barbara K. Burton, professore di pediatria e genetica della Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago, hanno partecipato anche l’Istituto Gaslini di Genova e l’Università di Padova.
 
L’acronimo può suonare un po’ strano, ma le malattie da accumulo lisosomiale o LSD (lysosomal storage diseases) non hanno nulla a che a vedere con gli effetti psichedelici; semmai con il mistero e la scarsa conoscenza che circonda le malattie rare.
Eppure, sostengono gli esperti, ogni volta che ci troviamo davanti ad un caso di sospetta ipercolesterolemia familiare, diagnosi tornata prepotentemente in auge con l’avvento dei nuovi inibitori della PCSK9, un pensierino come diagnosi differenziale, sulle malattie da accumulo lisosomiale, bisognerebbe ben farlo.
 
I lisosomi sono degli organelli intracellulari deputati allo smaltimento dei prodotti di scarto del metabolismo cellulare; sono insomma dei minuscoli smaltitori ‘chimici’ che, per mezzo di appositi enzimi, distruggono le scorie della cellula. Venendo a mancare questi enzimi, le scorie si accumulano, i lisosomi si rigonfiano e anziché aiutare a liberare la cellula dai rifiuti da lei stessa prodotti, finiscono per intasarla con questi prodotti di scarto, dando luogo così ad una ‘malattia da accumulo lisosomiale’. Il modo in cui si manifestano queste malattie varia moltissimo, e dipende essenzialmente dal tipo di cellula interessato da questo accumulo.
 
Finora di LSD ne sono state individuate una cinquantina circa, ma solo per 7 di loro è disponibile una terapia sostitutiva, consistente nel rimpiazzare appunto l’enzima carente con un prodotto ‘ricombinante’, frutto dell’ingegneria genetica. La terapia viene somministrata per via sistemica al paziente ed è ‘assorbita’ dalle cellule target che poi provvedono ad indirizzare l’enzima ai lisosomi, dove può finalmente cominciare a smaltire i depositi accumulati, ritrovando il suo ruolo.
 
Nella malattia di Gaucher ad esempio, l’enzima viene captato dai macrofagi, per mezzo dei recettori del mannosio. I recettori del mannosio-6-fosfato invece mediano l’uptake dell’enzima mancante nella malattia di Fabry, a livello dei podociti e dei cardiomiociti. La stessa cosa succede nella malattia di Pompe, ma a livello di cardiomiociti e dei miociti del muscolo scheletrico.
 
Un’altra LSD, rimasta finora orfana di trattamento, è il deficit di lipasi acida lisosomiale (LIPA), una patologia autosomica recessiva che è causata da mutazioni del LIPA, il gene che codifica appunto questo enzima. La malattia si manifesta con gravi manifestazioni a carico del metabolismo lipidico e degli epatociti. In particolare, l’incapacità di liberarsi degli esteri di colesterolo e dei trigliceridi accumulati nei lisosomi epatici, porta ad un aumento di volume del fegato,  ad una sua alterata funzionalità, alla fibrosi e alla progressione fino alla cirrosi. Questi pazienti presentano frequentemente anche una grave dislipidemia caratterizzata da un notevole aumento delle LDL e del colesterolo non-HDL, oltre che da una riduzione delle HDL. Target dell’intervento terapeutico in questa malattia sono appunto gli epatociti, poiché sebbene la LIPA sia espressa anche a livello cerebrale, la malattia non produce manifestaizoni in questo organo.
 
Su questa forma di dislipidemia, statine e inibitori della PCSK9 non possono fare nulla e anzi possono addirittura peggiorare la situazione aumentando la disponibilità di recettori per le LDL e dunque l’uptake del colesterolo all’interno degli epatociti. Di qualche utilità potrebbe essere l’ezetimibe ma l’esperienza clinica è molto limitata. Nei soggetti con forme gravi di malattia si può arrivare al trapianto di fegato.
 
I soggetti con le mutazioni del LIPA più marcatamente inattivanti (malattia di Wolman) presentano i sintomi della malattia già in età neonatale e possono arrivare al decesso entro il primo anno di vita. Una diagnosi realmente tempestiva e la somministrazione della terapia enzimatica sostitutiva potrebbero dunque salvare la vita a questi piccoli pazienti e un accurato screening neonatale di certo sarebbe prezioso per velocizzare la diagnosi.
 
Lo studio di fase 3, pubblicato oggi sul New England Journal of Medicine, apre dunque la porta alla speranza a questi pazienti ‘rari’.
La sebelipasi alfa, una lipasi acida lisosomiale umana ricombinante, somministrata a 66 pazienti, sia adulti che bambini, affetti da deficit di lipasi acida lisosomiale (e alcuni già con cirrosi epatica), ha infatti prodotto risultati incoraggianti. I livelli di transaminasi, il contenuto di grasso del fegato e il suo volume sono risultati tutti significativamente ridotti.
In particolare, dopo 20 settimane di trattamento, i livelli di alanina aminotranferasi (ALT) si sono normalizzati del 31% dei pazienti assegnati al trattamento con sebelipasi alfa, contro il 7% del gruppo placebo.
E’ certo presto per dire se questa terapia sostitutiva sarà effettivamente in grado di proteggere questi pazienti dalla progressione verso l’insufficienza epatica terminale – per questo servirà un follow up più prolungato – ma di certo è un significativo passo avanti in un campo finora assolutamente orfano di qualsiasi trattamento.
 
Sul fronte della dislipidemia, questo trattamento ha fatto registrare una significativa riduzione delle LDL e del colesterolo non-HDL, oltre ad un aumento delle HDL. Studi condotti in precedenza sui topi hanno dimostrato che questo trattamento è in grado di far regredire le alterazioni aterosclerotiche prodotte da questa malattia nell’animale da esperimento, ma sull’uomo finora non ci sono dati. E anche questo punto dovrà essere oggetto di osservazioni future.
 
“Il deficit di lipasi acida lisosomiale – scrive in un editoriale di accompagnamento, pubblicato sullo stesso numero del NEJM, Daniel J. Rader dell’Università della Pennsylvania, Philadelphia (USA) – è una malattia sotto diagnosticata e spesso confusa con l’ipercolesterolemia familiare o con l’epatopatia steatosica non alcolica. Visto che a breve potrebbe rendersi disponibile una terapia sostitutiva per l’enzima mancante, i medici dovrebbero essere incoraggiati a ipotizzare la presenza di questa malattia nella diagnosi differenziale di un paziente con una grave forma di ipercolesterolemia, in assenza di una storia familiare e soprattutto se associata a bassissimi livelli di HDL, elevati livelli di transaminasi o steatosi epatica. Stessa cosa nei pazienti con cirrosi micronodulare alla biopsia epatica. E’ sufficiente ricorrere ad un semplice esame del sangue, disponibile in clinica, per far diagnosi di questa malattia”.
 
La sebelipasi alfa è la prima terapia sostitutiva enzimatica specificamente mirata agli epatociti. Qualora approvata, rappresenterebbe una rivoluzione sia per il trattamento delle forme più gravi, quelle ad esordio neonatale, sia per quelle ad esordio tardivo.
Rivoluzione possibile tuttavia solo migliorando la conoscenza di queste patologie genetiche dei lipidi, possibile causa di cirrosi e di dislipidemie, spesso ignorate e dunque sotto diagnosticate.
 
Maria Rita Montebelli

10 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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