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L’evoluzione dell’Evidence based medicine. Nuovi strumenti innovativi al servizio della pratica clinica. Intervista a Lorenzo Moja


Docente di Health Research and Policy a Milano, è Technical Officer presso l’Oms per la Selezione e Implementazione della Lista dei Farmaci Essenziali. “L’EBM si inscrive in un periodo storico, quello a cavallo del nuovo millennio, in cui i medici raccolgono la sfida dell’incremento esponenziale delle informazioni prodotte dalla ricerca e si cimentano nell’esplorazione dell’incertezza di fondo insita in molte decisioni cliniche”.

15 SET - “Con il termine EBM identifichiamo un approccio teorico e pratico che caratterizza alcuni aspetti della disciplina medica: solo in parte le decisioni che assumiamo nell’attività clinica quotidiana sono basate su informazioni provenienti da studi sperimentali rilevanti e di buona qualità”. Parole di Lorenzo Moja, docente di Health Research and Policy all’Università di Milano, attualmente Technical Officer presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Selezione e Implementazione della Lista dei Farmaci Essenziali, che in quest’intervista ci evidenzia gli sviluppi della Evidence Based Medicine (EBM), in italiano “medicina basata sulle prove di efficacia”. Un movimento culturale che da oltre vent’anni lavora per accrescere la qualità dell’informazione a supporto del processo decisionale nella pratica clinica di tutti i giorni.
 
Professore, potremmo dire che l’EBM è il punto di raccordo tra la ricerca medica e la pratica clinica?
Con il termine EBM identifichiamo un approccio teorico e pratico che caratterizza alcuni aspetti della disciplina medica: solo in parte le decisioni che assumiamo nell’attività clinica quotidiana sono basate su informazioni provenienti da studi sperimentali rilevanti e di buona qualità. Questa parte è definita EBM e completa il bagaglio di conoscenze derivanti da esperienza e giudizio clinico. L’EBM si inscrive in un periodo storico, quello a cavallo del nuovo millennio, in cui i medici raccolgono la sfida dell’incremento esponenziale delle informazioni prodotte dalla ricerca e si cimentano nell’esplorazione dell’incertezza di fondo insita in molte decisioni cliniche.
 
Oggi più che mai i medici e i professionisti sanitari si misurano con la difficoltà di gestire l'afflusso, apparentemente infinito, d’informazioni provenienti dagli studi clinici. Come si possono difendere?
Difendersi non è forse il termine più appropriato, perché l’informazione di per sé è sempre un bene. Dobbiamo saper sfruttare questa informazione. Tuttavia, per i clinici impegnati in giornate fitte di visite può essere difficile trovare il tempo da dedicare ad attività come la ricerca dell’informazione, la discriminazione degli studi di alta e di bassa qualità, l’integrazione dei risultati degli studi più recenti nel solco delle conoscenze già sedimentate. Ecco alcuni consigli: diffidare del risultato del singolo studio, privilegiando invece l’informazione derivante da revisioni sistematiche di qualità, per esempio le Cochrane; dare maggior credito a fonti che indicano non solo se l’intervento porta un miglioramento statisticamente significativo, ma anche l’entità di questo miglioramento. Negli ultimi vent’anni, ricerca e pratica medica hanno esplorato farmaci e interventi il cui beneficio, quando provato, era limitato. Benefici marginali, insomma, la cui somma ha in alcuni casi condotto a benefici rilevanti, come per i trattamenti per le malattie cardiovascolari o per i farmaci contro alcuni tumori. I medici sono sempre più consapevoli che il ricorso a interventi caratterizzati da limitata efficacia e da effetti collaterali di pari entità rende più complesse le scelte nella pratica clinica, che vanno ben ponderate.
 
Può farci qualche esempio di strumenti che aiutano il medico nell’assunzione di decisioni e nella pratica clinica?
Esistono essenzialmente due modalità di supporto informativo: una tradizionale, cioè gli intramontabili libri e le riviste cartacee; una seconda supportata dalla tecnologica, come le riviste digitali, le banche dati online e i servizi point-of-care al letto del paziente.  È possibile consultare risultati e contenuti a fini di ricognizione e approfondimento, oppure cercando rapidamente la soluzione a un problema specifico. La prima modalità, normalmente, richiede un maggiore investimento di tempo e rimane imprescindibile per l’aggiornamento, l’elaborazione di protocolli diagnostico-terapeutici, la preparazione di presentazioni a convegni e di articoli scientifici. Si tratta di una prassi ineludibile anche per la soluzione di problematiche cliniche, ma qualora il dubbio si manifesti in ambulatorio o in una corsia di ospedale, i servizi informativi al letto del paziente costituiscono senza dubbio la modalità più rapida ed efficiente di ottenere risposta.
 
Questi strumenti esistono già. Ma sono utilizzati?
Sì, e cominciano a diffondersi negli ospedali italiani. Alcuni dati indicano anche come il loro uso determini un’aumentata efficacia nei setting di cura.
 
Nel maggio del 2015 è mancato David Sackett, considerato il padre fondatore dell’EBM. Che ricordo ne ha?
Una figura carismatica. Mi fa piacere condividere con lui la passione per la ricerca e anche lo stesso nome: da adolescente, infatti, David aveva deciso di aggiungere al primo un secondo nome, Lawrence. Una voltami ha raccontato che la nascita dell’EBM in realtà non dovrebbe essere attribuita a lui. Durante la crisi dei missili di Cuba, la crescente tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica spinse il governo americano a chiamare in servizio una generazione. David, giovane medico, fu chiamato a prestare servizio presso lo U.S. Public Health Service, dove esplorò a fondo le scienze epidemiologiche. Lì nacque l’epidemiologia clinica, l’avanguardia dell’EBM. Per questo motivo, usava dire, il vero padre fondatore dell’EBM è Nikita Chruscev. Mi mancherà.

15 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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